CULTUR@. 27ESIMO “ARTFILMFESTIVAL” DI ASOLO (TREVISO) STASERA RIVIVE IL MITO DELLA DIVINA ELEONORA DUSE
5 Settembre 2008di Nicoletta Salata
Questa sera ad Asolo, tra le dolci e rasserenanti colline trevigiane, “paese di merletti e di poesie” come Eleonora Duse (nella foto) lo definì scegliendo di stabilirvi una dimora e poi di esservi sepolta, nell’ambito del 27° AsoloArtFilmFestival verrà conferito ad Ottavia Piccolo il premio speciale intitolato alla “divina” e sarà proiettata la versione restaurata del film muto “Cenere”.
Si tratta dell’unico film in cui la Duse (1858-1924), mito del teatro dell’epoca e nota alle cronache anche per la sua intensa e sofferta storia d’amore con Gabriele d’Annunzio, ha recitato.
Il film (del 1916, diretto da Febo Mari, ora restaurato dalla Fondazione Cineteca Italiana per iniziativa della Mediateca Regione Veneto), è tratto dall’omonimo romanzo di Grazia Deledda. Ambientato in Sardegna, narra la storia drammatica di una donna cacciata da casa perché incinta di un figlio illegittimo, che decide poi di affidare il bambino all’ uomo sposato con cui l’ha concepito affinché venga allevato in modo adeguato. I due si incontreranno, lui adulto, lei ormai anziana.
Ecco uno straordinario estratto dal film. Consiglio di azzerare il volume della musica inserita liberamente in sottofondo (un sax un po’ lagnoso e trascinato che a mio avviso distoglie da una pura comprensione e dalla già smisurata incisività delle immagini e della recitazione della protagonista).
Personali impressioni e spunti. Trovo sorprendente come in questi due minuti traspaia, marcata, la semplicità accompagnata ad una sapiente perfezione in cui i gesti, in assenza di parole, sanno essere eloquenti e persuasivi.
Soffermarsi su come la Duse, di fronte alla porta nel momento in cui questa si apre e le appare il rimpianto ed adorato figlio, spalancando istintivamente le braccia sembra dire sono qui, mi offro a te e allo stesso tempo ti accolgo, sono stata forte nel lasciarti e ora sono debole nel ritrovarti, mi arrendo. E poi si raccoglie in un inchino, che è quasi di vergogna e di invocazione di perdono, avvolta in un mantello scuro in cui sembra volersi nascondere.
Segue il momento in cui il figlio che dapprima non ne vuole sapere, rigido e distaccato in una istintiva comprensibile reazione di rifiuto le volta le spalle, stringe le braccia su se stesso, tradendo il bisogno dell’abbraccio che però ancora non osa estendere all’estranea madre. Per poi lasciarsi andare a consolarla mentre lei, prostrata ai suoi piedi, ancora si nasconde il viso con le mani quasi si ritenesse indegna d’essere guardata, coprendosi addirittura con il braccio la cui mano, chiusa in un pugno serrato, pare ancora costretta a contenere umiliazione e amarezza. Trattenendo ancora il bisogno di esprimere il passato dolore e la nuova gioia.
Poi lui le porge le mani e lei finalmente consapevole e cosciente dei sentimenti profondi che nonostante tutto li legano si ammorbidisce prima ritraendosi, come fa un onda dopo essersi infranta per poi abbandonarsi in un improvviso sorriso e slancio rigettandosi nella sua stretta, che ora è riva sicura in cui approdare.
Quando nel 1909 d’Annunzio le chiese di tornare a recitare nella sua opera la Fedra, la Duse, che non aveva dimenticato né mitigato le pene amorose subite nel loro rapporto amoroso, gli rispose: “Ho sempre voluto il tuo bene. Quello che mi pareva il tuo bene, non solo la guerra e la gloria, ma una vita d’anima, un che che t’aiutasse, che desse, placandoti, un che d’amor vero nel vero. Un bel giorno mi sono sentita stroncata in due, così, dalle tue mani. Non so più rileggere un’opera d’arte di te. Ritentare d’ascoltarti sarebbe rimorire. M’hai classificata come un’opera d’arte che si prende e si butta. T’ho già dato tutto, non ho più niente”.
Sicuramente questa sera, ad Asolo rivivrà il mito della divina Duse la quale, come testimonia questo film-documento aveva ancora molto, di intenso seppur sofferto, da dare.