Il panettone che nasce in carcere
6 Agosto 2008
di Tommaso Farina
Le cene galeotte di Volterra non sono l’unico esempio di intelligente lavoro svolto dai detenuti per non dimenticare il loro ruolo di esseri umani attivi e inseriti nel mondo. La cooperativa Giotto, attiva nel carcere di Padova, ha insegnato ai detenuti a sfornare golosissimi prodotti da pasticceria. La veneziana e il panettone li ho provati, sono leggeri, gustosi, eccezionali.
Renato Farina ha fatto visita alla Cooperativa, e lo scorso dicembre ha scritto un articolo in cui racconta questa realtà a modo suo.
Lì sopra, il video illustra con efficacia i mezzi produttivi.
Il carcere di Padova è definito “di massima sicurezza”. Persino il nome ribadisce: “Due Palazzi”, ma viene da chiamarlo “Due Cancelli”, perché non ne basta uno a tener lontano i delinquenti dai cittadini, ed evoca l’idea popolare di “doppia mandata”.
E grigio-bianco e rosso, ricorda le carceri americane della pena di morte, con gli inviati della Rai fuori, e l’inesorabile idea di motel economico a nascondere le tragedie.
Chi scrive ha visitato più volte i detenuti a San Vittore nel centro di Milano, Rebibbia a Roma. Da piccolo ha fatto per anni il chierichetto nella piccola prigione-modello di Desio. Commento: angoscia, idea di maledizione, inutilità. Ho poi passato qualche ora in galere africane; ad Antofagasta in Cile e a Caracas nel Venezuela ero lì accanto a papa Wojtyla mentre mani dalle dita grosse uscivano dalle sbarre. Ho pensato: è la tomba dei viventi, l’unica redenzione è morire.
Ieri attraversando le porte di quella casa per reclusi ho sentito per la prima volta un’altra aria. Invece dell’odore di metalli e di minestra, c’era la fragranza del pane e della pasticceria ad invadere i corridoi. Qui si fa uno dei due o tre migliori panettoni d’Italia. Non è un modo di dire: è stato scelto alla cieca da giurie, non per la compassione che fanno i detenuti.
Stride accostare parole come delitto, vittima, criminale a panettone, pasticceria, biscotto alla mandorla. Ma qui si sta aprendo una strada per cui forse perla prima volta si contempera l’esigenza di tutelare la sicurezza, la certezza della pena e una vera riabilitazione dei carcerati. È accertato: tra quanti dei detenuti impegnati in questo lavoro, e che sono usciti dalla cella a causa dell’indulto o per la fine della pena, la ricaduta nel reato è stata minima. E tra quanti – usufruendo di lavoro esterno – avrebbero avuto la possibilità di svignarsela: eccezionale, zero casi.
Ho usato una parola: lavoro. Il fatto è che non può essere un “posto”, ma occorre che chi pratica un’attività capisca che non butta via il suo tempo e dunque il massimo è scansare ogni fatica.
Conviene andare sul concreto, e cioè sui panettoni. Il merito è di un gruppo dì persone fantastiche.
Hanno trasferito la loro passione cristiana per l’imprenditoria e la pietà per gli uomini, tipica del Veneto, in un luogo dove manodopera c’è senza bisogno di importarla: il carcere. Invece di trasferire tra le mura pratiche manuali ripetitive e senza gusto, hanno provato a trasferire lì dentro la passione per un mestiere finito. Si chiama cooperativa sociale Giotto. Padova è la città dove 250 mila persone visitano ogni anno la Cappella degli Scrovegni del Maestro Toscano.
Nel negozio dove si vendono preziosità giottesche, c’è anche il panettone Giotto, oltre che le agende Giotto. Tutto è fatto in carcere. La scatola è usufruibile come soprammobile dopo aver delibato il prodotto.
Il laboratorio è immacolato. Ci lavorano condannati a pene assai serie, di 21 nazionalità: 40 per cento sono italiani, il resto appartengono ad Albania, fino allo Sri Lanka e al Perù. Non c’è solo gente impegnata in pasticceria. Lì vicino si lavora alle valigerie, più avanti alla manifattura di gioielli: non un solo furto. Si fabbricano manichini per negozi di moda, di essi il 90 per cento viene esportato.
Un piccolo miracolo in due turni. Il dirigente numero uno delle carceri italiane, Ettore Ferrara, annuncia: «Ho visto un piccolo miracolo, la via è questa. Nelle carceri oggi lavorano solo 25 detenuti su cento. Di cui l’80 per cento è impiegato dall’amministrazione pubblica con risultati scadenti. Non basta investire in nuove carceri, occorre dare fiato a iniziative di questo tipo». Dopo aver frequentato corsi formativi, sono inquadrati in perfetta regola, guadagnano 900 euro al mese.
Per far lavorare più persone si fanno due turni. I detenuti finiscono per costare assai meno alla collettività: perché devono essere sani per tutelare la salute altrui, e non ci sono casi di assenteismo, chissà perché. Fuori poi quando è tempo – trovano lavoro, perché aver lavorato qui è una garanzia, è come per un ingegnere o un meccanico avere in curriculum l’aver fatto pratica alla Ferrari.
Davide Paolini è uno tra i più bravi e famosi gastronomi italiani. È un gastronauta: cioè lavora di scarpe invece che di telefono. Le sue trasmissioni a Radio 24 sono un appuntamento imperdibile per i cacciatori di prodotti autentici ed è appena uscito un suo bellissimo libro: “Le ricette della memoria e l’arte di fare la spesa”, Sperling & Kupfer. Racconta. «Sono un cultore del panettone. Senza sapere marca né altro dopo l’assaggio di una fetta non ho avuto dubbi. È uno tra i migliori panettoni mai assaggiati. Quando mi hanno detto da chi e dove era prodotto artigianalmente non ci credevo. Ho visto come lavorano. Hanno avuto maestri eccezionali. Sono incantato dalla leggerezza di queste fette». Desiderano volare quelle fette. Ci sono poi le “Bolle di neve”, praline di pasta di mandorle. E quel che uno vorrebbe desiderar di mangiare a Natale. E Paolini sostiene: «Perché no, anche a Ferragosto. Per il panettone con il gelato di Moscato è in assoluto il meglio peri dessert estivi».
Il trascinatore di quest’opera, l’inventore, è un imprenditore che si chiama Nicola Boscoletto. Ha messo in piedi un consorzio di cooperative sociali che si chiama Rebus (tel. 0492963700, giotto@coopgiotto.com). La sua forza è che crede all’utilità, anzi alla necessità della pena per chi sbaglia.
Ha trovato una foto del 1950 con un motto scritto sulla porta del carcere di Noto in Sicilia: «Vigilando redimere». Tenere insieme custodia-punizione e possibilità di riabilitazione vera. Per questo è necessario il lavoro. Ma – dice – «è necessario puntare sulla qualità. Senza qualità, la persona diventa vecchia e cattiva». Cita un recente convegno che ha organizzato lui con altri amici sulla «concezione di giustizia in Sant’Agostino». C’erano il patriarca di Venezia Angelo Scola, il professor Giacomo Tantardini (sacerdote), il procuratore capo di Padova, Pietro Calogero. Quest’ultimo ha citato Agostino: «Lasciare impunito il colpevole è crudeltà (”disciplinam qui negat crudelis est”), perché toglie a chi ha sbagliato la possibilità di correggersi; favorire il reo perché è povero non è atto di misericordia in quanto l’impunità lascia il povero in balia dell’iniquità». Bisogna invece disapprovare la colpa e amare gli uomini: «Diligite homines, interficite errores». Il risultato è: detenuti che scontano la pena redimendosi, maggior sicurezza per la gente. E un panettone eccezionale.
(di Renato Farina, da Libero del 5 dicembre 2007, pag. 22)