NONSOLOSOLDI. Banche, arriva Best Execution, la “clausola colabrodo”
21 Agosto 2008di Gianluigi De Marchi
La sua approvazione è stata approvata con commenti unanimemente positivi, sottolineando che finalmente il risparmiatore avrebbe trovato strumenti efficaci per essere protetto contro le prevaricazioni delle banche.
Invece sono bastate poche settimane per far venire allo scoperto alcune incongruenze foriere di future, cocenti delusioni per chi opera in titoli. Parliamo della clausola della “best execution”, un cardine della normativa Mifid, che apparentemente garantisce, almeno nel nome, che il cliente possa beneficiare della “miglior esecuzione”.
Ahimè, fatta la legge, trovato il cavillo; ovviamente, a danno dell’operatore piccolo, quello che passa gli ordini alla propria banca fiducioso di trovare le migliori condizioni di prezzo sul mercato in quel momento.
Il fatto è che non si tratta delle migliori condizioni “in assoluto”, ma solo delle migliori condizioni scelte dall’intermediario.
Spieghiamoci bene.
La Mifid prevede che la sede di esecuzione degli ordini sia rimessa alla valutazione di ogni banca, imponendo sì la “best execution” ma nell’ambito delle sue strategie operative. Tra le strategie operative rientra anche la scelta della cosiddetta “piattaforma operativa”, cioè del mercato sul quale far transitare le negoziazioni per conto della clientela.
Bene, di “piattaforme operative” ne esistono tante, da quella (nota a tutti) della Borsa valori italiana (fino a qualche anno fa mercato ufficiale, oggi mercato privato organizzato e gestito da banche e finanziarie)a quelle (sconosciute ai più) organizzate e gestite dalle singole banche (ad esempio ilo mercato TLX, il più noto, è dell’Unicredit) da consorzi di banche.
E’ notizia di questi giorni (in pieno solleone, quando l’attenzione è rivolta ad altri argomenti; sarà una scelta causale?) dell’avvio delle operazioni di Turquoise, una “borsa alternativa” creata da nove grandi banche internazionali del calibro di Barclays, Deutsche bank, JP Morgan, UBS, Goldman Sachs, Citi, Credit Suisse, BNP Paribas e Société Générale.
All’inizio saranno trattati solo 10 azioni (società inglesi e tedesche), poi il listino si amplierà con azioni francesi ed olandesi e via via tutte le altre, comprese le italiane, per un totale di oltre 1.200 società.
Sta decollando concretamente (dopo mesi un po’ stentati) anche Chi-x, la “piattaforma operativa” controllata da Nomura (una delle maggiori banche giapponesi) e da altre 123 banche; sono in fase di avanzata progettazione Nasdaq Omx (destinata al Nord scandinavo) ed Equiduct (tedesca) e ci dobbiamo aspettare altri annunci che faranno proliferare a dismisura i mercati sui quali saranno trattate le stesse azioni.
E’ ovvio che lo stesso titolo potrebbe far registrare in un certo giorno quotazioni diverse da un mercato all’altro, perché diverse possono essere le richieste o le offerte di Fiat sulla borsa italiana, su Turquoise o su Chi-x, veicolate alle banche che hanno interesse ad alimentare quel mercato anziché uno della “concorrenza”.
E allora ecco l’ombra della “worst execution”, la peggior esecuzione: il signor Rossi che dà ordine alla propria banca di vendere 5.000 Fiat ordinarie non sa (perché non ha letto la Mifid) che l’esecuzione sarà fatta sul mercato X prescelto anziché su quello Y dove magari quotano 5 centesimi in più. E nel frattempo il signor Bianchi compra con la sua banca 5.000 Fiat senza sapere che opererà sul mercato Y dove costano 5 centesimi in più che sul mercato X.
Le banche si giustificheranno con la scusa (consentita dalla legge) di aver scelto il “miglior mercato esistente” per condizioni generali (costi, trasparenza, efficienza informatica, ecc.); dimenticando di dire che probabilmente si tratta del mercato in cui partecipano al capitale. Un caso eclatante di conflitto d’interesse.
Nessuna banca ha l’obbligo, prima di eseguire un ordine, di “esplorare” i prezzi su tutti i mercati esistenti (basterebbe un programma informatico di raffronto in real time…); ed anche se il cliente più scaltro desse ordine con specifica indicazione del mercato sul quale eseguirlo, non è obbligata a farlo se la “piattaforma operativa” non è quella per lei disponibile.
Ma (purtroppo non finisce qui).
Siccome i mercati sono, come detto, diversi, le differenze, pur marginali, di prezzo consentono ai traders più scaltri o (guarda caso) agli intermediari stessi di approfittarne e di trarne profitto.
Al signor Rossi la banca comunica di aver venduto le azioni sul mercato X che rappresenta la piattaforma prescelta ed indicata ai sensi della Mifid; ma nulla impedisce che l’ordine sia eseguito sul mercato Y, intascandosi la differenza positiva…
Si chiama arbitraggio, era una tecnica in uso decenni fa dagli agenti di cambio per arrotondare le commissioni in tempi di vacche magre: al cliente che non specificava la piazza di esecuzione (esistevano allora 10 borse ufficiali!) si dava l’eseguito sulla propria Borsa, e magari si operava su un’altra dove in quel momento si spuntava un prezzo migliore.
Allora non esisteva la Mifid, non c’era il testo unico sulla finanza, non c’era la Consob; oggi esistono leggi e regolamenti apparentemente rigidi e rigorosi per la tutela dell’investitore, ma la sostanza non sembra essere cambiata gran che…



