Punti di vista su Massimo Ciancimino
18 Giugno 2010Il commento di Fabrizio Spinella all’articolo tratto da nuovasocieta.it
Fornasini, le lettere sono state scritte su comando a finalità di ricatto. Un ballon d’essai per vedere se il destinatario (lo Stato, i governanti, i politici) ha intenzione di cedere.
Una “manica” di mafiosi terroristi, “campagnoli”, destinati ad essere acciuffati su delazione di altri mafiosi, “cittadini”, allergici a stragi indiscriminate e desiderosi di tranquillità per i loro affari. Nel primo processo del 1982 avviato da Falcone, lo Stato annientò la mafia palermitana dei Bontade, Badalamenti, Buscetta, Greco e amicizie varie, quelli dei rapporti con i partiti e con il dc già fanfaniano Ciancimino e controllori del traffico di stupefacenti tra Italia e Stati Uniti d’America e dei grandi appalti siciliani, lasciando fatalmente spazio all’insorgenza dei corleonesi Riina e Provenzano. Si è visto con quali esiti.
Quanto al figlio di Ciancimino, da suo padre ritenuto alla stregua di un minus habens per questioni caratteriali, si ascoltano mille ricostruzioni, spacciate di fonte diretta e più spesso de relato (con il suggerimento dei pubblici ministeri, che gli offrono pilole per la memoria col temporizzatore). Strano che nel lungo racconto degli affari di suo padre egli non ricordi dettagliatemente il ruolo di mediatore e di dispensatore di provvigioni (o tangenti) a beneficio di tutti i partiti, compreso l’allora Partito comunista.
Esempio. Nel 1984, il deputato liberale Stefano De Luca, con una clamorosa intervista al settimanale “il Borghese”, dichiarò che «il PCI partecipa alle divisioni delle tangenti ed ha avuto come garante proprio l’ex sindaco Vito Ciancimino». Querelato da due dirigenti comunisti, De Luca, parlamentare ed avvocato di grido a Palermo, si disse pronto a dimostrare questa affermazione in Tribunale. Ma la Camera dei Deputati non concesse l’autorizzazione a procedere e, particolare significativo, anche i deputati comunisti votarono per la conferma dell’immunità di De Luca, dopo aver saputo che De Luca avrebbe voluto chiamare Ciancimino in Tribunale a riprova delle sue affermazioni. «Ciancimino, soprattutto dopo la sua uscita in prima persona dalla scena politica siciliana, si era posto come garante di tutte le forze politiche», disse De Luca.
Ecco, di queste cose il figlio di “don” Vito non chiacchiera, non riferisce, non ricostruisce, non indica, non menziona, non allude. Storie vecchie? No: la questione mafia-politica-Stato seguita da quelle vicende, e non si può capire la successiva strategia di ricatti e di violenze. Tutto quello che capita all’Italia politica, trova prima esperimentazione in Sicilia, sin dai tempi del compromesso storico, anticipato nel Parlamento siciliano.
Quanto alle supposte aderenze delle holding berlusconiane al sistema di potere mafoso, mi lasci dire caro Fornasini che questa è una tesi inverosimile già smontata nelle vecchie istruttorie. Col ragionamento che lei sembra far suo, molti grandi imprenditori di aziende quotate in Borsa avrebbero goduto dell’economia mafiosa. Pensi al povero miliardario buonanima Caracciolo, che in Sardegna faceva affari con Flavio Carboni accusato di mille rapporti con la Banda romana della Magliana e con la mafia siciliana.
Le bombe e le stragi mafiose sono la fase finale e disperata (in finis velocior) di mafiosi senza più connessioni con il potere politico nazionale, prima invece rappresentativo delle istanze “ragionevoli” dei grandi capicosca in nome della ragione elettorale anticomunista sostenuta dalla Segreteria di Stato USA.
Il ricatto contro Berlusconi c’è stato, non penso di no, dopo la dissoluzione del sistema che ruotava intorno alla DC e l’emersione della nuovo assemblamento politico che avrebbe sostituito elettoralmente quel partito con la spinta internazionale dei tedeschi di Khol, della massoneria di riferimento americano, della diffusa imprenditoria italiana. Ma il ricatto sciliano (minacce di morte dei figli di Berlusconi, attentati alle filiali Standa in Sicilia, tentativi di estorsione e d’impossessamento di quote dei gruppi Fininvest) si è scontrato con la “milanesità” dell’imprenditore Berlusconi, più dura dell’”insularità” (e si è visto nella “scala di Mohs”, in questi anni, la resistenza di Berlusconi).
Il figlio di Ciancimino era fuori del mondo politico di suo padre, fuori del mondo economico siciliano, fuori del mondo delle professioni, fuori delle potenti relazioni mondane. Dopo la morte del padre ha puntato a salvare dalla confisca il malloppo, raccolto dal genitore anche per essere distribuito come da accordi. Ecco, invece di suggerire piste Fininvest, piste di Servizi Segreti (a proposito del misterioso “Franco”, super butterato: che fine ha fatto?), piste immobiliari altrui, faccia un gesto onesto: restituisca le quote del malloppo ai soci (persone perbene e permale) e compari di suo padre, il quale era il tesoriere di molti che evidentemente non possono venire allo scoperto per rivendicare quanto spetterebbe loro.
Caro Spinella,
i suoi commenti sono sempre interessanti e densi di particolari generalmente scomparsi dalla cronaca, per questo ho voluto mettere il suo contributo in evidenza. Mi permetta però una precisazione: non intendevo affatto far mio il ragionamento che emerge dal precedente articolo, ripreso da un altro blog. Anzi volevo sottolineare come anche l’autore stesso ponga il quesito sull’affidabilità di Ciancimino, anche se non in maniera sufficientemente critica.
Personalmente, ritengo il figlio di Don Vito un personaggio che è stato solo sfiorato dai fatti di cui parla copiosamente attraverso i media e le udienze giudiziarie. Una figura emersa agli onori delle cronache grazie ad una superficiale conoscenza dei rapporti che il padre ha tenuto nel corso della sua vita. Per me è solo uno che ha ereditato parti di un archivio, oltre ad una cospiqua eredità di beni materiali nascosti chissà dove. E secondo me non dispone delle giuste chiavi di lettura per ricostruire correttamente il puzzle dei frammenti, ammesso che si tratti di materiale autentico. La misura della sua attendibilità è apprezzabile, ad esempio, attraverso un articolo di Enrico Tagliaferro che ho riportato qui qualche mese fa. Si può anche pensare, come fa Antonella Serafini, che parlare di Ciancimino sia inutile. Da parte mia penso che sia corretto parlarne nella giusta misura, giusto per non lasciare tutto lo spazio ai sui fans, tipo quei giornalisti che attendono trepidanti nuove e clamorose esternazioni dell’erede di Don Vito.
Non ho mai dato particolare credito a chi mescola supposizioni e fantasie personali a pochi fatti riscontrabili, non vedo perché dovrei cominciare ora che ho passato la cinquantina.
(Sergio Fornasini)
Un commento presente
Che Le dicevo, caro Fornasini, su Ciancimino?
Scritto da Fabrizio Spinella il 22 Apr 2011