I FONDI COMUNI DISTRUGGONO IL CAPITALE
6 Settembre 2017di Gianluigi De Marchi
In tutti i dépliants che reclamizzano i fondi comuni d’investimento si leggono frasi stereotipate tipo: “Investire in fondi deve essere considerata un’operazione di medio-lungo periodo”, oppure “I gestori selezionano i migliori titoli presenti sul mercato per garantire un elevato rendimento nel lungo periodo”.
Affascinante prospettiva che attira moltissimo risparmiatori; peccato che i fatti siano ben diversi dalle rutilanti promesse dei dépliants…
I dati non sono frutto di manipolazione o di acredine, ma sono frutto di precise statistiche elaborate da un istituto serio come Mediobanca, che da decenni studia l’andamento dei principali investimenti mobiliari.
Partiamo dalla conclusione più eclatante: dal 1984 al 2015 l’universo dei fondi comuni ha offerto un rendimento medio annuo del 5,38% (al netto dell’inflazione il tasso si riduce ad un 1,37% annuo). Il numero in sé dice poco se non si approfondiscono alcuni aspetti.
Il primo: nello stesso periodo i BOT annuali hanno reso il 5,8% annuo, quindi mezzo punto percentuale in più. Un confronto perdente…
Il secondo: i fondi azionari (quelli che meglio si addicono ai risparmiatori, che teoricamente possono farsi una tranquilla “gestione” di titoli obbligazionari senza ricorrere a professionisti) hanno reso in 32 anni ilo 4,9%, mentre l’indice Mediobanca del mercato italiano è cresciuto dell’8,4% e l’indice MSCI delle borse mondiali ha fatto registrare un +7,4%. Un confronto perdente…
Il terzo: la crescita del patrimonio dei fondi comuni dal 1984 al 2015 è stata pari a 92,8 miliardi di euro (al netto della raccolta netta); la cifra rappresenta il “valore aggiunto” generato dai gestori. Nello stesso periodo le commissioni pagate dai sottoscrittori (non solo commissioni di sottoscrizione ma anche commissioni di gestione commissioni di rimborso, commissioni di performance) sono state pari a 73,9 miliardi di euro. In altre parole, i costi incamerati dai gestori sono stati pari al 79,5% dei guadagni incamerati dai risparmiatori. Un confronto perdente…
Il quarto: nel periodo 2011-2015 (cinque soli anni) i fondi hanno reso il 2,5% annuo, contro 1,9% dei BOT. Insomma, in un quinquennio i gestori hanno “vinto la gara” contro i BOT, mentre in 32 anni hanno perso! Alla faccia dei dépliants, un altro confronto perdente…
Qualche conclusione è d’obbligo.
I gestori ingrassano i loro conti prelevando una miriade di commissioni dai risparmi dei sottoscrittori; e si tratta di cifre largamente superiori a quelle medie di altri paesi. I fondi italiani costano il 2,9% l’anno (negli USA 0,68%), gli obbligazionari costano l’1,1% (negli USA 0,54%), i monetari lo 0,4% (negli USA 0,13%). Un costo pari al quadruplo per azionari e monetari, il doppio per gli obbligazionari!
I gestori fanno “ruotare” il portafoglio un po’ più di una volta l’anno (il rigiro avviene ogni 11 mesi per i titoli di Stato, ogni 9 mesi per le azioni); anche in questo caso il dato è pari ad oltre il doppio di quello americano (che si ferma a 0,44, cioè un rigiro ogni due anni). Poiché acquisti e vendite sono gravati da commissioni (guarda caso, incassate quasi totalmente dalla banca cui fa capo la SGR di gestione…) è un’altra fonte di guadagno alle spalle dei sottoscrittori. E, fra l’altro, contraddice i presunti obiettivi di lungo periodo dei fondi!
Chiudiamo citando un passo dello studio di Mediobanca, che non necessita di alcun commento: “L’industria dei fondi continua a rappresentare un elemento di distruzione di ricchezza per l’economia del Paese…(omissis) La distruzione di ricchezza per la componente azionaria ammonta (nel quindicennio che inizia dal 2001) a 136 miliardi di euro”.
Chi volesse approfondire il tema e trarre altri spunti dallo studio di Mediobanca può usare il sito www.mbres.it/it/publications/dati-di-fondi-e-sicav-italiani )