CULTUR@. “La storia siamo noi, nessuno si senta offeso, nessuno si senta escluso”.
20 Ottobre 2008di Nicoletta Salata per dituttounblog.com
In questi giorni in cui tornano alla ribalta nomi come Carretta e Maso, che dopo aver commesso i loro orrendi crimini ambiscono (e non sono chimere ma fattibili opportunità) a reinserire la loro vita nel cammino della normalità, aspirando ad un equilibrio che se non l’ avevano prima c’è da chiedersi come possano ora ristabilirlo, l’indignazione giustamente sale.
Non intendo soffermarmi su queste due ennesime raccapriccianti storie, il cui sviluppo ed epilogo è altrettanto inaccettabile; infondo non sono altro che due badilate di fango melmoso gettate sulla sopravvissuta onestà della gente per bene. Altre due ruvide pennellate che imbrattano un paese già sporco, così macchiato di immoralità e sudicio di scandalose realtà, e anche per questo sempre più torbido e confuso.
Poiché mi è tornato in mente, riporto soltanto questo “raccontino in versi” di Ferdinando Camon, tratto da “Dal silenzio delle campagne” – Garzanti Ed. 1998, che ebbi tra l’altro occasione di leggere, insieme ad altre “scene”, in occasione di una serata teatrale, e nel quale viene citata anche la vicenda Maso.
“A Terrazzo un contadino, con una placca
d’argento nella calotta cranica,
ha ammazzato cinque donne: nello stupro
le stringeva al collo, è un trucco
per farle venire all’orgasmo,
ma da lì le spingeva allo spasmo
dell’agonia: una prostituta austriaca,
tre tossiche italiane, e una bosniaca.
Sulla femmina viva l’uomo s’arrapa
e dalla morta scappa via.
Lui funziona al contrario. Cos’ha nella crapa,
lo dirà a suo tempo l’autopsia.
Perché si è deciso che i mostri
vanno studiati a ritroso,
dopo morti si preleva il necessario
per provare la teoria di Lombroso.
Questo deve avere qualche glandola
che gli dà una piena di testosterone
di fronte a un cadavere: in un cimitero
sarebbe sempre in erezione.
Di lui non sappiamo tutto.
Stuprava le vittime col pugno
e col calcagno,
faceva cose che i periti
coprono col segreto,
per paura che l’umanità
sentendole faccia un salto indietro.
A Villafranca un figlio ha sparato in petto
al padre ubriacone,
reo di aver prelevato qualche milione
dal suo libretto.
Il padre è caduto supino
trapassato da parte a parte,
il figlio piangeva come un bambino
controllando i prelievi sulle carte.
A Verona una figlia col cordello
del telefono ha strangolato so’ mare:
voleva la casa per farne un bordello
e sfruttare la caserma di fronte, un affare.
È stata aiutata da un amante omosessuale,
che gli amici sfottevano: «Non hai palle».
«Non ho le palle io?Chi ha ucciso la tale?».
E così la polizia ha risolto il giallo.
La matricida in carcere pulisce il cesso
con secchio e straccio, è in testa alla lista
per buona condotta,
e quando arriva un giornalista
gli fa la mossa
di Elvis
the Pelvis:
«Vuoi far sesso?»
A Montecchia un ragazzo ha fatto fuori,
aiutato dagli amici, i genitori:
li ha martellati sul cranio per tre quarti
d’ora, fermandosi ogni tanto
per respirare: «Ma non muoiono mai,
‘sti bastardi?».
Aveva prenotato una BMW nera
e doveva ritirarla, non poteva
recedere dal contratto
senza pagare le spese,
perché aveva torto:
il padre, una volta morto,
lo avrebbe capito, da bravo borghese.
Scrivo queste storie in uno studiolo
che ha sulla porta un campanello
col nome di Furlan, sì proprio quello
della banda Ludwig: davanti al proprio nome
ha disegnato un fiorellino
rosso, chi direbbe che è un assassino
che ha ammazzato sedici persone?
Ha esaminato il cervello di un frate
aprendo il cranio con un cacciavite,
forse pensava che le visioni
mistiche sian dipinte sui neuroni,
ha incendiato una discoteca
e l’ha visto una ragazzina
mentre versava sul pavimento
una tanica di benzina.
L’hanno mandato in soggiorno obbligato
In un paese qui vicino
Che è quello dove son nato,
e perciò meritava quel destino.
Se segno su una mappa le cittadine
dove son nati i mostri,
la riempio di bandierine:
erano terre povere ma sante,
son diventate ricche ma assassine.
Volevo liberare l’animale
per farne un uomo nuovo, su cui leggere le virtù
stampate come stigmate dalla miseria:
lo ha liberato il capitale,
togliendoli anzitutto la memoria,
per farne un uomo ricco, e niente più.
Il sotto-uomo era un ludibrio
come lo è il super-mostro:
l’uomo giusto nasce da un equilibrio
che nella storia non trova posto”.
Eppure la storia siamo noi…
3 commenti presenti
Conosco Camon non per i suoi libri, ma per alcune opinioni espresse in Schei, un vecchio libro di Gian Antonio Stella. In sostanza, si limitava a ripetere un sacco di luoghi comuni sul nord est, visto con l’occhio dell’intellettuale col sopracciglio alzato.
La poesia mi sembra carina.
Scritto da Tommaso Farina il 20 Ott 2008
Ho letto da qualche parte che è terribile essere tutti compresi nella parola “umanità”…
Scritto da Domenica V. il 21 Ott 2008
“Auch das Glück ist eine entsetzliche Last”: “Anche la fortuna è un atroce peso”, scrisse Kafka.
Scritto da Domenica V. il 21 Ott 2008