Tremonti & Di Pietro, la strana coppia di signoraggisti (Travaglio inside)
16 Marzo 2009Che Antonio Di Pietro non fosse il politico più lungimirante d’Italia in campo economico, era un sospetto che qualche volta poteva passare per la mente. Ma che il leader dell’Italia dei Valori, il magistrato “eroe” di Mani Pulite, l’integerrimo ministro delle Infrastrutture dell’ex governo Prodi, fosse fuori come un balcone (o un signoraggista, che dir si voglia), non ce lo aspettavamo. Eppure è proprio vero che ha dichiarato: “Sto con Tremonti. Questa operazione (cioé la vigilanza sulle aziende bancarie) non si può lasciare alla Banca D’Italia perchè non si è mai visto che un controllato nomini il controllore e che, in queste condizioni, il controllore possa fare fino in fondo il proprio lavoro“. Ora, finché di fregnacce di questo genere ne sparano sui siti internet come www.signoraggio.com, ci si può anche stare. Ma non è possibile che un politico italiano ormai consumato, il quale ha assistito – da politico – alla nomina di due banchieri centrali, non si sia ancora accorto che l'”azionariato” di Bankitalia (che, è vero, ha tra i suoi soci gli istituti di credito) non conta nulla nelle scelte di governance. E’ infatti il governo che nomina i governatori, e fu – ad esempio – l’allora governo di Silvio Berlusconi a nominare Mario Draghi in via Nazionale (dopo l’era Fazio), anche se oggi Giulio Tremonti stenta a ricordarsene.
Qui Di Pietro vede un conflitto d’interessi inesistente. Perché se le banche non possono incidere, se non in modo marginale, sulla scelta dell’esecutivo dell’istituto centrale, non possono in alcun modo influire sulle scelte di chi sarà a vigilarle, a priori. A posteriori sì, possono farlo, ma ciò accadrebbe anche se la vigilanza fosse “europea”, come dicono Giulio & Antonio, questa inedita nuova coppia di ballisti che si è appena affacciata sulla platea nostrana. Non ci crederanno, i due, ma negli istituti di credito italiani c’è persino qualcuno che parla inglese, francese e tedesco: mica stiamo parlando di politici (o giornalisti) nostrani. Dice bene quindi Phastidio: “La Banca d’Italia è un istituto di diritto pubblico, il diritto di voto dei suoi soci è assoggettato a limitazioni e sganciato dal numero di azioni possedute. I soci non hanno la minima possibilità di incidere sugli indirizzi di vigilanza, né su qualsiasi altro aspetto dell’attività della Banca d’Italia. Il potere dei soci si limita all’approvazione del bilancio ed alla nomina del Consiglio Superiore, che svolge funzioni amministrative, e partecipa al processo di nomina dei membri del Direttorio e del Governatore, che esercitano il potere di vigilanza“. In più, c’è anche da ricordare che in occasione dell’ultimo scandalo che ha coinvolto via Nazionale – e Di Pietro non può non ricordarselo – si era appunto parlato di una “vicinanza” tra vigilanti e vigilati. Vicinanza (quella tra Antonio Fazio e Gianpiero Fiorani) che era appunto nata attraverso le frequentazioni personali, non certo perché la Banca Popolare di Lodi aveva contribuito a portare l’allora governatore a Palazzo Koch.
Se poi Di Pietro fatica a ricordarsene, può sempre chiedere di rinfrescargli la memoria a Marco Travaglio. Del quale forse non tutti avranno letto questo articolo, che in mezzo a una serie di affermazioni altamente condivisibili, ne mette una sull’ex pubblico ministero che non pare tanto condivisibile. “Intanto l’Ordine degli avvocati ha sospeso per 3 mesi Antonio Di Pietro – scrive Travaglio – Nel 2002 l’ex pm era legale di parte civile per due coniugi amici suoi coinvolti in un grave fatto di cronaca. L’amico fu trovato ferito vicino al cadavere della moglie strangolata. Si pensò a un balordo, poi saltò fuori che l’assassino era il marito. Così almeno decise la Corte d’Assise, che lo condannò a 21 anni. Non potendo difendere vittima e presunto carnefice, Di Pietro scelse la prima e rimise il mandato per il secondo“. E poi conclude così: “Ma questo, per l’Ordine forense (lo stesso che per 3 anni è riuscito a non espellere Previti, condannato perché comprava giudici), viola «i doveri di lealtà, correttezza e fedeltà». Giusto: il vero garantista, tra la vittima e l’assassino, sceglie l’assassino“. Per carità, nulla da dire sulla lentezza di chi per tre anni non è intervenuto nei confronti di Previti. Ora che però a sette anni dai fatti (en passant: notiamo che ci ha messo più anni a prendere una decisione nei confronti di Di Pietro che una nei confronti di Previti; a seguire la logica travagliesca, parrebbe che il fronte “giustizia per tutti… gli altri” non sia così isolato) l’Ordine è intervenuto, forse i fatti meriterebbero un maggiore rispetto da chi dice sempre di idolatrarli. A voler essere pignoli, è vero che l’ex pm di Mani Pulite ha rinunciato all’incarico di difendere (o per meglio dire: rappresentare) l’amico prima che questi venisse indagato, ma purtroppo per lui e per Travaglio il Codice Deontologico degli Avvocati dice all’articolo 51 che “l’assunzione di un incarico professionale contro un ex-cliente è ammessa quando sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale e l’oggetto del nuovo incarico sia estraneo a quello espletato in precedenza“. L’incarico da parte di Pasqualino Cianci arrivò nel marzo del 2002, e il 19 di quello stesso mese Di Pietro passò a difendere i famigliari della defunta. E l’articolo 51 parla di un biennio. E continua dicendo: “In ogni caso è fatto divieto all’avvocato di utilizzare notizie acquisite in ragione del rapporto professionale già esaurito“. Guarda un po’ il caso, che ti ha fatto Di Pietro? Chiede che siano acquisiti alcuni documenti che si trovavano presso l’abitazione della defunta, e di svolgere indagini sui debiti di Cianci in banca e con privati. Ora, ovviamente, qui si dà molta importanza al fatto che probabilmente Di Pietro ha “risolto il caso“, con le sue “intuizioni“; e nemmeno si vuole dare importanza a come abbia raccattato le informazioni decisive. Si fa soltanto notare che nello spirito e nella lettera del Codice, il comportamento di Di Pietro sia a tutti gli effetti sanzionabile. E allora, forse tutta ‘sta tirata contro l’Ordine e sul garantista alle vongole che avrebbe scelto l’assassino appare un po’ fuori luogo. Poi, se volete difendere l’indifendibile, accomodatevi pure. Ma non vi lamentate più di Emilio Fede, però.
2 commenti presenti
Ma è un articolo ch vorrebbe parlare di signoraggio o un articolo contro dipietro a priori?
Fa di tutto un brodo, direi che non dice niente di niente, l’unica cosa chiare è che Di Pitero gli sta sulle balle per motivi (secondo me) assolutamente ridicoli…
Scritto da Francesco B il 16 Mar 2009