I magistrati moralisti
22 Marzo 2009da napolionline.org – grazie a Tommaso Farina che lo ha segnalato su Facebook
Scritto da Adolfo Scotto di Luzio da il Corriere del Mezzogiorno
Alcuni magistrati diffidano della politica e si oppongono ai suoi tentativi di riformare la giustizia. Sono restii, tuttavia, a guardarsi allo specchio. Non si chiedono, ad esempio, che cosa sono diventati in questi anni di grande esposizione mediatica. Al contrario, da loro viene una forte pretesa a spiegare il mondo e a caricarsi di compiti generali. In questa pretesa il magistrato travalica spesso i confini della giurisdizione e occupa campi di tradizionale pertinenza del discorso pubblico.
Questa rilevanza pubblica, a sua volta, retroagisce sulle scelte del magistrato e seleziona le cause da perseguire. Abbiamo magistrati in politica e inchieste che sembrano fatte apposta per dare rilievo politico ai magistrati. Il caso di De Magistris, candidato alle Europee e in aspettativa dalla magistratura, è esemplare da questo punto di vista. Il problema, naturalmente, è più generale e riguarda la nascita, in questi anni, di un magistrato di nuovo tipo, che tende a interpretare il proprio ruolo in termini etici.
La scrittura dei giudici è un terreno interessante sul quale verificare i tratti di questa trasformazione. La magistratura ha sfornato molti autori di romanzi. Il cosiddetto fenomeno del noir all’italiana ha prodotto nell’opinione pubblica del nostro paese una vera e propria fascinazione degli atti processuali, pari almeno al voyeurismo delle intercettazioni pubblicate sui giornali. Si pensi al fenomeno Gomorra e all’idea che contiene delle inchieste di camorra come serbatoi inesauribili di storie da narrare e fonti indiscutibili di verità.
Questa narrativizzazione spinta della fonte giudiziaria ha un impatto molto forte sul lavoro di questi giudici, perché fa delle loro scritture degli oggetti potenzialmente mediatici. Non più solo una tecnica della motivazione dell’atto processuale, ma il nucleo di un racconto, il pezzo di un’argomentazione che può finire sui giornali. Questo spinge il giudice a rivolgersi, anche solo idealmente, a un pubblico più vasto di lettori. Che non è precisamente il popolo italiano in nome del quale si emettono tradizionalmente le sentenze, ma una massa di consumatori che domanda alle storie che legge emozioni e criteri pratici per le condotte del vivere: dall’educazione dei giovani, al vivere e al morire, ai conflitti etnici e religiosi.
Ora, se i giudici che sono diventati scrittori famosi sono pochi, la magistratura è invece piena di magistrati che nella motivazione dei loro provvedimenti aspirano a farsi di volta in volta storici, sociologi soprattutto, pedagogisti. Senza, naturalmente, esserlo e senza avere dunque gli strumenti per controllare la produzione di enunciati che pure aspirano ad una portata generale.
Atteggiamenti di questo tipo segnalano una tendenza più ampia a sconfinare dai limiti della giurisdizione che è stata duramente contestata di recente dall’Associazione nazionale magistrati. In un comunicato del dicembre 2008, che suona come una decisa inversione di tendenza e un primo richiamo all’ordine, l’Anm ha ritenuto «di dover ricordare che il dovere di motivazione dei provvedimenti giudiziari consiste nella chiara e analitica descrizione delle ragioni di fatto e di diritto sulle quali il provvedimento si fonda».
C’è da chiedersi però da dove venga questo stile di una parte della magistratura e in fondo questa sua insofferenza per i limiti della giurisdizione e le regole formali dell’ordinamento. Le sue radici affondano nella divaricazione che nel corso degli anni Settanta si produsse nel corpo stesso della magistratura, isolando una componente, allora minoritaria, di giudici progressisti che, con gli strumenti di quella che all’epoca fu chiamata giurisprudenza alternativa, invasero il terreno tradizionale della politica. Su temi come la casa, il diritto alla salute, l’ambiente, quei magistrati cominciarono a fare politica con delle sentenze che prendevano il posto della politica e pretendevano di anticiparne le possibili riforme.
È da lì che viene la confusione attuale, l’idea che sul magistrato ricadano compiti più ampi di rappresentanza di interessi e valori collettivi. Questa idea incrocia ai giorni nostri il vento dell’antipolitica e della spettacolarizzazione. Il fatto, tuttavia, che si tratti oggi del sostegno dato ai gruppi di cittadini che si oppongono ad una discarica attraverso il sequestro di un sito o della difesa del buon nome del tifoso napoletano, come nella recente richiesta di archiviazione per i fatti relativi alla partita Roma Napoli del 31 agosto 2008, cambia di poco e niente la natura del problema. Che è e resta un problema di ruoli e di equilibri istituzionali infranti di cui i magistrati per primi dovrebbero sentirsi responsabili.