La Rai cita in giudizio “il Riformista” e chiede 25 milioni di danni
27 Marzo 2009da ilriformista.it – leggi anche agendacomunicazione.it
La Rai perde il pelo ma non il vizio
AGI) – Roma, 25 mar. – La Rai ha dato mandato ai suoi legali di citare in giudizio per 25 milioni di euro il quotidiano ‘Il Riformistà. La decisione – dice un comunicato stampa aziendale – è stata presa “in relazione al gravissimo danno di immagine arrecato all’azienda da un articolo pubblicato oggi dal giornale in cui vengono riportati dati palesemente parziali in una costruzione evidentemente tendenziosa che sembra avere come unico obiettivo quello di screditare la Rai. L’accostamento improprio ad altre realtà industriali italiane e l’esposizione non obiettiva corredata da una serie di informazioni distorte è stata giudicata oltraggiosa e inaccettabile dall’azienda”, che ha quindi deciso di procedere immediatamente con la richiesta di risarcimento “che verrà estesa a qualunque altro mezzo di informazione riporterà quei dati errati”.
Nel dettaglio, la Rai precisa, a titolo esemplificativo, che “nel 2007 la posizione finanziaria del gruppo era positiva per 110 milioni di euro (e non dunque indebitata per 937 milioni di euro come scrive il Riformista) e che il numero degli abbonati Rai paganti è in costante crescita da 10 anni a questa parte (nel 2007 sono stati 95.000 in più che nel 2006) nonostante ci siano ogni anno decine di migliaia di disdette dovute quasi esclusivamente a ragioni demografiche”. (AGI)
La replica del giornale:
La Rai perde il pelo ma non il vizio
Apprendiamo da un lancio di agenzia che la Rai ha dato mandato ai suoi legali di citare in giudizio il Riformista per 25 milioni di euro. A tanto ammonterebbe il «danno d’immagine» che le avremmo arrecato con un nostro articolo sui conti aziendali dal titolo: “Un carrozzone di 2004 giornalisti, 264 dirigenti, 8150…”. La nota furibonda di Viale Mazzini parla di «dati palesemente parziali», di «esposizione non obiettiva», di «informazioni distorte». Due dati, soprattutto, hanno fatto giudicare alla Rai «oltraggiosa e inaccettabile» la nostra fotografia della televisione pubblica: «Nel 2007 la posizione finanziaria del gruppo era positiva per 110 milioni di euro (e non dunque indebitata per 937 milioni di euro come scrive il Riformista) e il numero degli abbonati Rai paganti è in costante crescita da dieci anni (nel 2007 sono stati 95.000 in più che nel 2006) nonostante ci siano ogni anno decine di migliaia di disdette dovute quasi esclusivamente a ragioni demografiche».
Come si vede, la Rai non smentisce i dati da noi pubblicati. Del resto non potrebbe. Non ce li siamo inventati in redazione. Tutte le cifre che abbiamo utilizzate sono tratte dalla relazione della Corte dei Conti del 2008 e dallo stesso bilancio della Rai, quello del 2007, dove alla voce “Totale debiti” per l’anno 2004 è scritta la cifra 807.268; per il 2005, 843.395; per il 2006, 911.311, e 936.629 per il 2007. Tutti i dati da noi pubblicati sono verificabili e verificati.
Nella sua nota la Rai gioca sulle parole, confondendo tra «debiti» e «indebitamento», due cose ben diverse. Invece di smentire, aggiunge un’altra cifra: «Nel 2007 la posizione finanziaria del gruppo era positiva per 110 milioni di euro». Benissimo, ma questo non smentisce l’entità dei debiti: 936.629 euro. Quanto “al numero degli abbonati”, noi non abbiamo scritto che “è in decrescita”, ma che – come riconosce anche la nota dell’azienda di Viale Mazzini aggiungendovi un “nonostante” – ogni anno ci sono decine di migliaia di disdette.
Per la precisione, abbiamo scritto: «Nel 2007 le disdette sono arrivate a 340mila e i morosi accertati hanno superato quota 700mila». Dove abbiamo preso questi dati? Dal bilancio della Rai. Voce “Morosi” anno 2007: 664.827. Voce “Disdette” anno 2007: 338.592. Non abbiamo scritto che la Rai perde abbonamenti, ma che circa 700mila italiani che dovrebbero pagare il canone nel 2007 non l’hanno pagato e che circa 400mila persone, sempre nel 2007, quell’abbonamento l’hanno disdetto. Né più né meno.
Forse è vero, come dice Luca Ricolfi, che in Italia la matematica non dà certezze. I bilanci vanno letti e interpretati. Viale Mazzini dà la sua interpretazione, ovviamente ottimistica. Ne ha pienamente diritto. Noi stessi nell’articolo abbiamo riportato del «notevole sforzo» dell’azienda per «abbattere le spese del personale». Ma la stampa libera ha altrettanto diritto di giudicare i numeri che sono scritti nei bilanci, e non ha un obbligo di presentarli in buona luce, come pare suggerire la nota della Rai lamentandosi di «dati palesemente parziali», di «costruzione evidentemente tendenziosa», di «esposizione non obiettiva» e di «accostamento improprio ad altre realtà aziendali» (si riferiscono all’Alitalia). Anzi, parlando di «dati errati», la Rai arreca a noi un gravissimo danno d’immagine se quei dati, da noi presi dal bilancio Rai, risultano veri.
La Rai ci chiede 25 milioni di euro di risarcimento. Le diciamo subito che non ce li abbiamo. Equivalgono a due anni di reddito di Silvio Berlusconi, secondo la sua ultima dichiarazione dei redditi, e benché lui si sia impoverito, noi non siamo così ricchi. A proposito del Cavaliere, una domanda: come mai la Rai non ha citato per danni – che si sappia – il Giornale della famiglia Berlusconi quando il 10 marzo di quest’anno, evidentemente utilizzando le nostre stesse fonti ufficiali, ha pubblicato quella stessa cifra, 937 milioni di debiti, in un grafico di bella evidenza?
Questo l’articolo incriminato:
Un carrozzone di 2.004 giornalisti, 264 dirigenti, 8.150…
di Gianmaria Pica
Altro che Alitalia, Ferrovie dello Stato e Tirrenia, il Gruppo Rai è l’ultimo vero carrozzone pubblico sopravvissuto alla stagione delle privatizzazioni: 13.200 dipendenti, 8 società controllate, 9 consiglieri di amministrazione e debiti che sfiorano il miliardo di euro. Ma dagli anni Ottanta ragiona (o almeno dovrebbe farlo) con logiche di mercato. Con la fine del monopolio televisivo, la posizione della tv pubblica nei confronti dello Stato muta radicalmente: la Rai diventa un’impresa privata di proprietà pubblica che opera in regime di concessione alla pari delle altre imprese private. Peccato che, a differenza di queste ultime, la Rai viva grazie al canone di abbonamento che vale il 54 per cento delle sue entrate (1,6 miliardi di euro), mentre dalla pubblicità arriva solo il 40 per cento (1,1 miliardi). Nel novembre del 2004 la Rai Holding Spa si fonde con la controllante Rai-Radiotelevisione Spa dando vita a una nuova società: la Rai-Radiotelevisione italiana Spa il cui capitale sociale, 242,5 milioni di euro, è in mano al ministero dell’Economia al 99,56 per cento, la quota restante la detiene la Siae. E la Rai, come quasi tutte le società pubbliche, ha la tendenza a chiudere i bilanci in rosso: nel 2007 – ultimo disponibile – ha registrato una perdita di 5 milioni di euro con debiti per 937 milioni.
Quanto costa al Paese mantenere in vita “mamma Rai”, come la chiamano i suoi dipendenti? Per capirlo bisogna partire dalle piccole spese della società, quelle che la Rai stanzia per i compensi dei nove amministratori e dei tre membri del collegio sindacale. Soldi che ogni anno crescono: se nel 2002 per le retribuzioni degli amministratori e dei sindaci sono stati spesi 984 mila euro, cinque anni dopo la cifra è cresciuta di quasi tre volte toccando i 2,6 milioni di euro. Poi ci sono tutti gli altri tredicimila dipendenti: 264 dirigenti, più di mille funzionari, 2.004 giornalisti e 8.150 unità tra impiegati, cameraman, tecnici e operai. Il costo del fattore lavoro – diarie, viaggi, costi accessori personale, fondi pensione e prestazioni di lavoro autonomo – che all’erario della società di viale Mazzini costa 1 miliardo e 125 milioni di euro, più di quanto incassa in un anno con la pubblicità.
Una forza lavoro ipertrofica, forse troppo. Tanto che il consiglio di amministrazione della Rai nel 2007 ha stanziato 30 milioni di euro per finanziare esodi agevolati del personale e 20 milioni di euro per operazioni di incentivazione all’uscita – per il triennio 2008-2010 – di 200 dipendenti. Ma questo (notevole) sforzo economico non è servito ad abbattere le spese per il personale. Infatti, mentre alcuni dipendenti uscivano dall’azienda, tra il 2002 e il 2007 ne venivano reintegrati con provvedimenti giudiziari 526. I contenziosi in materia di lavoro per la Rai sono cresciuti anno dopo anno: 1.198 giudizi pendenti nel 2004, 1.331 nel 2005 e 1.392 nel 2007. E costano: per quattro anni di contenziosi la Rai ha speso quasi 50 milioni di euro. Dal 2002 al 2007 è aumentato di 139 milioni di euro anche il costo complessivo dei servizi esterni (cosa che fa infuriare i tantissimi giornalisti interni che si sentono sviliti), con un picco di 830 milioni di euro registrato nel 2006. A guardare i dati sul canone si direbbe che gli italiani si stiano stancando di finanziare gli eccessi della Rai: nel 2007 le disdette sono arrivate a 340mila e i morosi accertati hanno superato quota 700mila.
Questo i link al sito del bilancio del gruppo Rai dove potete controllare l’attendibilità dei dati riportati nel pezzo qui sopra.
http://www.bilancio2007.rai.it/ita/bilancio/cons07.htm
Per i debiti:
http://www.bilancio2007.rai.it/ita/bilancio/civ03.htm
Un commento presente
Considerando che la RAI ne aveva chiesti 10 solo a Facci, direi che sarebbe potuta andare peggio.
Chissà se al Riformista, che cita proprio il Giornale, se lo ricordano, visto che scriveva pure da loro.
Saluti
Scritto da Dean Keaton il 27 Mar 2009