Polemiche sulla previsione dei terremoti: dall’INGV al “caso Giuliani”
20 Aprile 2009da www.abruzzoliberale.it – nella lettera di Mario Menichella, divulgatore scientifico, fisico e scrittore, viene posto in evidenza come il più importante ente scientifico italiano in materia adotti la politica di ignorare sistematicamente i progetti di ricerca esterni. È uno scritto particolarmente lungo, ho cercato di evidenziare in grassetto alcuni passaggi molto interessanti. (sf)
Il terremoto dell’Aquila del 6/04/2009 costato la vita ad alcune centinaia di persone, a seguito della polemica tra l’INGV di Enzo Boschi e il fisico Gioacchino (detto Giampaolo) Giuliani, denunciato per “procurato allarme” per aver segnalato l’elevata probabilità di un forte terremoto (poi verificatosi il giorno dopo in forma non catastrofica a Sulmona e circa una settimana dopo all’Aquila con la sua “botta” principale devastante), mi ha dato lo spunto per scrivere una lettera con interessanti informazioni sull’argomento “precursori sismici e previsione dei terremoti”. Eccone il testo, pubblicato in un blog curato da Marco Cattaneo sul sito della rivista Le Scienze, di cui è vicedirettore.
Caro Marco, permettimi innanzitutto di salutarti sia pure indirettamente, e di dare alla discussione il mio contributo di divulgatore e scrittore scientifico (laureato in fisica) che si è da tempo interessato per passione all’argomento dei precursori sismici (sono fra l’altro autore del sito di sismologia dilettantistica SISMOLAB: http://www.menichella.it/sismolab/). Penso che quanto dirò ora lascerà a bocca aperta molti lettori e farà capire meglio perché Giuliani è stato trattato in questo modo… Circa 4-5 anni fa, così come ho fatto anche con te, per un mio libro della serie “Professione scienziato” ho realizzato una lunga intervista di oltre due ore al prof. ENZO BOSCHI, allievo del noto quanto “discusso” – per usare un eufemismo — fisico Antonino Zichichi e presidente dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), che ha risposto esaurientemente a tutte le mie domande tranne a una, alla quale è letteralmente “caduto dalle nuvole” e ha dunque bellamente glissato: “Vorrei sapere che ricerche fate riguardo i precursori sismici elettromagnetici o di altro tipo…”.
Ebbene, l’Ente italiano che direi quasi “per sua stessa definizione” dovrebbe quanto meno interessarsi (ma se non altro per completezza…) anche dello studio dei precursori sismici — incredibile ma vero — non se ne occupa! In Italia la ricerca sui precursori sismici praticamente è effettuata solo da pochissimi sismologi esterni all’Ente: alcuni sono professionisti (e in certi casi svolgono ricerche di indubbio valore, di cui tra poco farò un esempio) e altri sono dilettanti come potrei essere io (il cui contributo è soprattutto quello di aprire nuove strade, e di cui parlo in una sezione del mio sito SISMOLAB per chi fosse interessato).
La posizione dell’INGV e del suo presidente non mi ha meravigliato più di tanto sapendo “di prima mano” (grazie a una mia amica che lavora in quell’Ente) le cose “assurde” che lì vi succedono, ma non di meno mi sembra un fatto vergognoso, perché è vero che non è ora (e non sarà MAI, si badi bene!) possibile una previsione “deterministica” (dove, quando, magnitudo) dei terremoti, ma sicuramente oggi abbiamo gli strumenti per iniziare a fare delle previsioni di tipo “probabilistico“, che, per inciso, è un po’ quello che si fa quando si fanno le previsioni del tempo, che sono appunto previsioni probabilistiche, non deterministiche.
Se dunque l’INGV fosse un Ente serio (tra l’altro, solo in Italia può accadere che una persona possa rimanere a capo di un Ente di ricerca così importante per quasi trent’anni di fila!), una persona come GIOACCHINO GIULIANI — un fisico che lavora presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) — non sarebbe stata a priori denigrata e “tenuta alla larga” come accaduto, ma la si sarebbe subito convocata per avere i dati scientifici relativi alle attrezzature usate (apparati complessi e non standard che potrebbero essere innovativi ed efficienti oppure, al contrario, inadatti a misurare le variazioni di radon) e alle sue ricerche di questi anni: questo per poterli anche solo conoscere, perché anche per criticare è necessario conoscere, e le sue ricerche non sono note all’INGV in quanto non ancora pubblicate: solo le persone con le “fette di prosciutto” sugli occhi (e che non si vogliono assumere responsabilità) si comportano come fatto dai dirigenti dell’INGV. Lascio al lettore di trarre le conclusioni…
Per fortuna, ho avuto il piacere di fare qualche anno fa una lunga intervista al prof. GIULIANO PANZA, che è probabilmente il migliore sismologo italiano, e in ogni caso, uno dei migliori al mondo: tanto per intenderci, è quello che ha curato le voci di sismologia per un’enciclopedia come la “Treccani”, che notoriamente si affida a esperti di chiara fama… e lui ha vinto nella sua brillante carriera la prestigiosa Medaglia “Beno Gutenberg”, massimo riconoscimento mondiale nel campo della sismologia. Egli si occupa di previsione dei terremoti all’Università di Trieste e all’ICTP (International Center for Theoretical Physics). Il suo approccio, estremamente originale e interessante (e naturalmente, per coerenza, anch’esso ignorato da Boschi e dall’INGV!) non si basa sui classici precursori sismici, come descritto da questa parte dell’intervista a Panza che allego di seguito:
D.: Quindi, secondo lei, è possibile prevedere i terremoti…
R.: Oggi siamo ancora lontani dal poter dire addio ai disastri sismici, ma le previsioni dei terremoti stanno diventando sempre più precise e attendibili, almeno quelle eseguite con un nuovo metodo che stiamo sperimentando pure qui a Trieste, in collaborazione con scienziati dell’iiept, l’International Institute of Earthquake Prediction Theory and Mathematical Geophysics, dell’Accademia Russa delle Scienze, con sede a Mosca. Noi, infatti, non crediamo alla previsione dei terremoti attraverso precursori “a posteriori”, quali, fino ad ora, si sono rivelati quelli chimici, fisici o di altro tipo. Per la maggior parte di tali precursori, le eventuali correlazioni tra il sisma e il precursore stesso vengono identificate solo dopo che il terremoto si è verificato: ma la previsione di un fatto già avvenuto risulta un po’ sui generis: si tratta, infatti, di ricerca di precursori, e non di previsione dei terremoti. Inoltre il precursore, per essere tale, deve avere una validità globale, non può funzionare solo per alcuni terremoti: dunque, occorre raccogliere un certo numero di casi significativi. Ciò non è stato, in generale, ancora possibile, poiché i terremoti forti si verificano raramente, e ciascun fenomeno considerato precursore è caratterizzato da fluttuazioni proprie, non legate alla sismicità. Sebbene alcuni precursori sembrino meritevoli di ulteriori ricerche, nessuno di essi, oggi, può considerarsi scientificamente convalidato. Il nostro approccio alla previsione dei terremoti, pertanto, è stato completamente diverso.
D.: E questo vostro approccio alla previsione dei terremoti, in pratica, in che consiste?
R.: La metodologia seguita con i ricercatori russi – e di questo va dato un grandissimo merito a Keilis-Borok – è stata partire dal dato più comune relativo alla sismicità di una zona: il catalogo sismico, ovvero l’elenco parametrico dei terremoti passati. Esso è molto utilizzato, in quanto messo a punto per tanti motivi, non ultimo quello di definire i costi dei premi delle compagnie di riassicurazione, cioè delle compagnie che assicurano le compagnie di assicurazione. Poiché il monitoraggio della sismicità rappresenta il risultato più banale e più frequentemente utilizzato, l’idea è stata quella di andare a individuare, nel flusso sismico descritto dai terremoti, i possibili precursori degli stessi. Questa operazione è stata fatta prima a livello globale, per studiare e prevedere i terremoti più grossi, e poi a livello regionale, per estendere il metodo ai terremoti più piccoli. Noi, in particolare, ci stiamo interessando dell’Italia e delle zone ad essa limitrofe, usando un paio di algoritmi i cui risultati sono caratterizzati da una significatività statistica estremamente elevata: non a caso, l’ultimo terremoto – quello di Bovez, in Slovenia – era stato previsto, e così pure quello di Bologna del settembre 2003. L’istituto russo, invece, oltre a compiere gli studi globali, si occupa, in collaborazione con scienziati americani, della parte occidentale degli Stati Uniti. Tali procedure, nate una ventina d’anni fa, oggi sono riconosciute a livello internazionale e ci pongono all’avanguardia in questo tipo di ricerche.
D.: Come avviene, più concretamente, la vostra previsione?
R.: Sono almeno quattro i sintomi che possono indicare l’approssimarsi di un forte terremoto in una certa zona: le piccole scosse diventano più frequenti, tendono a raggrupparsi nel tempo, si verificano simultaneamente in aree distanti e, infine, presentano un aumento della propria intensità media. Possiamo paragonare la normale sismicità di fondo che caratterizza la Terra alla situazione di un formicaio, in cui il comportamento degli insetti, all’apparenza caotico, possiede tuttavia un suo ordine: l’aumento improvviso del movimento delle formiche può voler dire che si sta avvicinando la lingua di un formichiere, equivalente, nella nostra metafora, a un terremoto molto forte. I nostri algoritmi sono in grado di indicare, a partire dalla sismicità minore, l’imminenza di grossi terremoti. Solo alcune zone del mondo, come la California, il Giappone e l’Italia, essendo caratterizzate da frequenti scosse e da una buona rete di sismografi, hanno fornito per abbastanza decenni le osservazioni di qualità necessarie per tarare i complessi algoritmi di predizione. Unendo la notevole intuizione scientifica dei russi all’abbondanza e all’accuratezza della banca dati di tali paesi, inizialmente è stato sviluppato un algoritmo che prevedeva, sia pure con forte approssimazione sull’area e sul tempo, il 90 percento dei terremoti con magnitudo superiore ad 8 – cioè molto forti – e l’85 percento di quelli con magnitudo superiore a 6,5, anch’essi forti. Ciò significa che, nelle regioni del mondo prese in esame, circa l’85 percento dei terremoti si sono verificati proprio all’interno delle aree in precedenza pronosticate come potenziali siti di tali fenomeni. In seguito, abbiamo sviluppato altri algoritmi ancora più sofisticati, raggiungendo un livello di confidenza prossimo, nei casi migliori, al 99,5 percento e mai inferiore al 95 percento. La sperimentazione di questi nuovi algoritmi è iniziata circa vent’anni fa, ed è attualmente in corso in venti regioni del mondo. Dal 1983 ad oggi, uno di questi algoritmi ha permesso di prevedere 16 dei 21 terremoti forti avvenuti in tali regioni, e la durata complessiva degli allarmi corrisponde al 24 percento dell’arco temporale totale considerato.
D.: Così avete pensato di applicare questi algoritmi all’Italia…
R.: Sì. Da un paio di anni qui a Trieste, presso l’ictp e il Dipartimento di Scienze della Terra, ora diretto dal professor Francesco Princivalle, facciamo previsioni sistematiche sui terremoti futuri. Infatti, gli esperimenti sui sismi del passato hanno mostrato come i nostri algoritmi sarebbero stati in grado di prevedere fra il 64 e il 100 percento dei terremoti di magnitudo superiore a 5,4 avvenuti in Italia dal 1995 al 2001. Le nostre “vere” previsioni, effettuate a partire dal 2002, sono state confermate con successo da numerosi terremoti verificatisi entro il periodo di un anno dalla previsione stessa. Tali previsioni, però, non sono mai state rese note al grande pubblico, ma solo a un ristretto numero di addetti ai lavori: l’Italia non è la California, dove molti terremoti riguardano zone desertiche, per cui non vogliamo scatenare il panico e rovinare, così, decenni di serio lavoro scientifico. A chi deve prendere le decisioni, vogliamo invece far sapere che è in fase di avanzata sperimentazione un metodo attendibile per prevedere le scosse sismiche. E speriamo che le autorità competenti, verificata la validità dei nostri metodi, aumentino la propria attenzione nei confronti delle previsioni dei sismi. Dunque, abbiamo una lista sia di amministratori sia di scienziati e di tecnici cui comunichiamo via e-mail le nostre previsioni, presenti in un sito dell’ictp il cui accesso è riservato a chi dispone un’apposita “chiave”; quest’ultima viene data a chi chiede di partecipare a quest’esperimento, promettendo di non diffondere le informazioni in modo improprio. Il problema di tali previsioni è rappresentato dall’ampiezza dell’area allarmata – l’incertezza spaziale è attualmente di almeno 200 chilometri, un’enormità in un paese piccolo e densamente popolato come il nostro – e dall’incertezza temporale, che è di un anno o più. Le previsioni, quindi, non raggiungono il grado di precisione necessario a prendere provvedimenti drastici, come l’evacuazione di una o più città.
D.: È possibile migliorare la precisione delle vostre previsioni?
R.: Migliorare la previsione dal punto di vista topografico e temporale non è un lavoro semplice e realizzabile in tempi brevi. Comunque, alcuni fatti indicano che si può certamente andare in tale direzione: ad esempio, nell’ambito di un recente progetto “Interreg Spazio Alpino”, coordinato da Aoudia, stiamo predisponendo una rete di gps atta all’osservazione della dinamica dell’intera catena alpina, ed essa ha tutte le potenzialità per portare, insieme a studi morfostrutturali, a una riduzione delle incertezze nelle previsioni. Il punto fondamentale è questo: a livello amministrativo e decisionale, bisognerebbe rendersi conto che oggi le previsioni dei terremoti si possono effettuare; anzi, si dovrebbe studiare come utilizzarle. Nella lotta contro l’aids non è stata trovata la “soluzione finale”, ma esistono medicinali, cure intermedie, che permettono una maggiore sopravvivenza e una migliore qualità della vita degli ammalati. Anche noi stiamo vivendo questa fase, ovvero disponiamo solo di una soluzione parziale. Ma quest’ultima, in alcuni casi, si rivela già importante: se in una zona abbastanza ampia – ad esempio, da Bologna a Napoli – avessi un allarme, mi preoccuperei, quanto meno, di andare a verificare le condizioni dei suoi ospedali più importanti e delle sue scuole. Non posso mettere, infatti, tutto in sicurezza, ma posso almeno controllare la stabilità degli edifici e delle strade, ponendomi il problema del loro adeguamento agli eventi sismici. Queste previsioni, dunque, possono servire a dare la priorità ad interventi che, in caso di terremoto, riducono in modo significativo il numero delle vittime; e, quand’anche poi il terremoto non si verificasse, se non altro si sarà intervenuti in modo più sollecito su strutture comunque carenti. In Italia, la gran parte degli edifici sono piuttosto antichi, e non si può procedere a un loro restauro simultaneo: per tale ragione, la previsione dei terremoti rappresenta senza dubbio uno degli elementi da considerare nel definire le priorità; a meno che a qualcuno non convenga continuare a considerare i terremoti come fenomeni del tutto imprevedibili e, così, “lavarsene le mani”!
D.: Ma non esiste il problema di eventuali falsi allarmi?
R.: Se nel flusso sismico osservo una sequenza di anomalie, dichiaro immediatamente un allarme della durata di un anno, nel corso del quale ogni istante potrebbe essere “buono” per il verificarsi del terremoto. Dopo sei mesi, ripeto l’analisi che mi dice se l’allarme continua – in tal caso, all’anno iniziale aggiungo altri sei mesi di allarme – oppure sta cessando, per cui il terremoto è atteso solo per i successivi sei mesi. E nel caso in questo successivo lasso di tempo il sisma non si verificasse, a posteriori potrò dire che si è trattato di un falso allarme. Perciò, il problema dei falsi allarmi, in teoria, esiste; ma nella pratica risulta molto serio solo qualora la zona allarmata sia piccola. Psicologicamente, infatti, se io dicessi che nel giro di un anno mi aspetto un terremoto tra Trieste e Bologna, lei, anche se vivesse a Padova, riterrebbe improbabile che venisse colpita proprio tale città, e più probabile, invece, che l’evento colpisca un’altra parte della zona a rischio. Quindi, a livello individuale, nel caso di previsioni a medio termine nel tempo e nello spazio, la percezione del pericolo non è immediata… ma non per questo la previsione è inutile, anzi! Naturalmente, non è pensabile di far evacuare la zona, che dunque non va abbandonata, bensì resa resistente al terremoto. In altre parole, occorre prepararsi ad eventuali emergenze, così come quando si teme un attentato terroristico, attraverso azioni e misure di prevenzione mirate all’organizzazione e all’efficienza dei soccorsi: ad esempio, garantire il funzionamento, subito dopo l’evento, di ospedali, caserme di Vigili del Fuoco e di forze di Polizia, e delle principali vie di comunicazione. Dunque le nostre previsioni dei terremoti, che presentano una discreta incertezza spazio-temporale, non hanno lo scopo di permette l’evacuazione, che probabilmente nessun tipo di previsione potrà mai permettere: lo scopo è quello di informare se nei prossimi mesi o nei prossimi anni la probabilità di terremoti di una certa intensità sia maggiore in certe aree; a quel punto segue, come già detto, la necessità di individuare, a livello locale, le strutture importanti che devono essere in grado di funzionare in caso di emergenza e assicurarsi in anticipo che queste funzioneranno.
Nella precedente intervista vengono date con estrema chiarezza risposte alle domande generali sulla previsione dei terremoti che il largo pubblico e i media si sono fatte dopo il terremoto dell’Aquila con le polemiche che ne sono seguite per l’atteggiamento irresponsabile dell’INGV (nella persona del prof. Boschi) e della Protezione Civile, o comunque quanto meno criticabile — e difatti deplorato in modo pressoché unanime dagli stessi “addetti ai lavori” esterni a queste due istituzioni — tenuto nell’occasione, e riassunto molto bene dal prof. Benedetto De Vivo (ordinario presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Napoli) nel suo intervento sul blog di Le Scienze:
“L’utilizzo del radon come premonitore dell’approssimarsi di un evento sismico è ampiamente riportato nella letteratura scientifica mondiale. Ma le anomalie di radon possono essere utilizzate in modo deterministico per prevedere un terremoto? Il radon nel caso di un terremoto si sprigiona soprattutto per effetto del processo di trasformazione (ad es., serpentinizzazione) cui vengono sottoposte alcune rocce in profondità durante i processi, sia compressivi che distensivi, di porzioni profonde della crosta terrestre. Durante tali processi si determina la produzione di fluidi, fra i quali idrogeno e radon. Il radon, essendo inerte, è scarsamente interessato dai processi di equilibrio chimico ed é considerato indicatore di terremoti a causa della sua elevata mobilità, della velocità della sua produzione naturale e anche perché la strumentazione necessaria per suo monitoraggio è molto semplice ed economica. Il picco della concentrazione di radon si verifica, usualmente, alcune ore prima dell’evento sismico, come misurato da Gioacchino Giuliani, prima del terremoto di L’Aquila.
La corrispondenza fra anomalie di radon e terremoto non sempre però si verifica e quindi non sempre il radon può essere utilizzato come indicatore (precursore) del terremoto. Tutto dipende dalle caratteristiche geologico-strutturali del territorio, per cui quello che si è verificato a L’Aquila (dove al di sotto della crosta è possibile la presenza di uno strato di rocce serpentinizzate, oppure di rocce anomalmente radioattive) non sarà necessariamente vero per un terremoto che si dovesse verificare in altre parti. Se non vi sono, per esempio, faglie sismogenetiche profonde che “pescano” laddove si producano fluidi è molto improbabile che il radon possa essere utilizzato come precursore.
Per L’Aquila la Protezione Civile avrebbe dovuto tenere in doveroso conto i dati di Giuliani, in considerazione della presenza di sciami sismici che duravano da tempo nella zona e date le indicazioni di un esperimento in corso per la previsione a medio termine svolto da un team internazionale guidato dal sismologo Giuliano Panza e descritto in dettaglio in una pubblicazione (Peresan et al., 2005) [ndr: chi fosse interessato all’articolo può acquistarlo dal sito della rivista oppure richiederlo in forma elettronica a Mario Menichella ( menich@tin.it) o all’autrice Antonella Peresan ( anto@dst.units.it)].
Le difficoltà decisionali cui deve far fronte la Protezione Civile non giustificano assolutamente l’arroccarsi su posizioni preconcette che escludano a priori qualsiasi contributo utile alla “previsione” di catastrofi che mettano a rischio migliaia di vite umane. Un falso allarme è sempre meglio che un allarme mancato, come si è verificato a L’Aquila! In un campo delicato, come quello della Protezione Civile, le certezze dogmatiche possono essere molto pericolose e foriere di future, anche peggiori tragedie nel prossimo futuro: mi riferisco al rischio Vesuvio. Ad esempio nel caso del Vesuvio, la posizione scientifica ufficiale “garantisce” la certezza della previsione di un’eruzione con largo anticipo e avalla la costruzione della più grande struttura ospedaliera dell’Italia meridionale (Ospedale del Mare) in piena zona a rischio vulcanologico, a 7,5 km dal cratere.
La Protezione Civile dovrebbe riflettere sul fatto che:
1) la previsione di un’eruzione del Vesuvio, con largo anticipo, è basata su valutazioni probabilistiche non su certezze assolute;
2) un’opera pubblica, quale un Ospedale, andrebbe allocata in una zona di sicurezza ASSOLUTA. La politica dovrebbe essere informata che la vulcanologia non è una scienza esatta e che certe scelte dovrebbero essere fatte in base a criteri conservativi e di prudenza.” (18/04/09)
A margine dell’intervento del prof. De Vivo, che completa il quadro della situazione già trattato dalla mia precedente lettera e dal prof. Giuliano Panza nella sua intervista, aggiungo alcune mie note che ritengo interessanti per il lettore, il quale, avendo tutti i principali elementi di informazione disponibili, potrà così formarsi meglio un suo giudizio autonomo:
Ciò che si fa oggi in Italia e nel mondo in vista di una futura previsione probabilistica dei terremoti è essenzialmente ricerca su singole linee: come dicevo prima nella mia lettera, Giuliano Panza e i suoi colleghi russi si basano su sofisticate analisi al computer dei terremoti passati, Gioacchino Giuliani (tanto per fare un esempio che tutti hanno sentito, non essendo lui un sismologo) su un precursore come il radon, così come tanti altri sismologi ed esperti nel mondo si occupano di tanti altri precursori fisici e chimici più o meno promettenti.
Ora, pensare che le SINGOLE linee di ricerca possano portare a qualcosa di importante per quanto riguarda la PREVISIONE è illusorio (in questo senso le ricerche di Panza non bastano e dunque non vanno “mitizzate” oltre misura, anche se devo dire sinceramente che i risultati ottenuti mi sembrano davvero molto interessanti e incoraggianti) esattamente così come è illusorio pensare di fare delle previsioni del tempo usando o solo i dati all’infrarosso di un satellite meteo o solo i dati della rete di termometri a terra o solo quelli dei barometri, degli anemometri, etc. Ma ciò non di meno, questi studi sono utilissimi.
Perché? Semplice! Così come le previsioni (probabilistiche) del tempo che farà nei prossimi giorni si fanno utilizzando e INTEGRANDO opportunamente con programmi al computer i dati di tanti tipi di rivelatori diversi, così le previsioni dei terremoti si faranno (in un futuro temo ancora molto lontano) integrando insieme fra loro vari tipi di precursori e (sperabilmente) anche altri approcci “intelligenti” come quello portato avanti dal gruppo di Panza a Trieste (che permette già oggi previsioni a medio-termine aventi una forte significatività statistica e comunicate a Protezione Civile e INGV, che le ignorano…).
Non possiamo però aspettarci che a fare ciò sia l’Università, che in Italia è già tanto se riesce a lavorare su qualcuna di queste linee di ricerca. L’INGV sarebbe in teoria l’ambiente naturale per svolgere al massimo livello tali ricerche e, a un livello superiore, integrare fra loro le diverse linee, naturalmente in collaborazione con le istituzioni estere (sia gli enti analoghi di altri Paesi che singole Università). Come sarà risultato chiaro dalla mia lettera non mi sembra però (per usare un generoso eufemismo…) che oggi l’INGV abbia neppure lontanamente questa “visione globale”…
Va sottolineato che l’obiettivo da perseguire non è quello di fare previsioni di terrremoti per poter dare ordini di evacuazioni (tali previsioni deterministiche non saranno mai possibili!), ma di fare previsioni di terremoti probabilistiche che consentano: (1) di indirizzare al meglio e nella maniera più logica i pochissimi soldi disponibili per la prevenzione (si vedano le ultime due risposte di Panza e/o le misure preventive attuabili elencate nella box qui sotto) e (2) di dare al pubblico 24h su 24 e 365 giorni l’anno informazioni sul rischio che in una data area d’Italia si verifichi un terremoto di una determinata magnitudo.
Dopodiché, un po’ come al mare uno, vedendo la bandiera rossa, può decidere di ignorarla e di fare ugualmente il bagno, così un privato cittadino o un Comune — se venisse informato da INGV e Protezione Civile sulle previsioni probabilistiche già oggi possibili — potrebbe fare le sue scelte, ma in modo consapevole e informato, come deve essere in un Paese civile e come del resto si fa per i vulcani (io, per esempio, ho a suo tempo deciso di abbandonare Napoli anche perché esiste una previsione probabilistica “nota” riguardo il Vesuvio).
Ma non aspettatevi un comportamento responsabile da chi nasconde la verità: la dice lunga il fatto che siano letteralmente “scomparsi nel nulla” i verbali completi della riunione della “Commissione Grandi Rischi” riunitasi all’Aquila il 31 marzo, pochi giorni prima del terremoto a seguito dell’allarme lanciato da Gioacchino Giuliani, e non seguita da nessuna azione se non la solerte denuncia alla Pubblica Autorità del Giuliani per “procurato allarme”!
Ma dirò di più: tutti i giornalisti e i lettori che come me hanno provato a collegarsi al sito dell’INGV il giorno del terremoto non ci sono riusciti… Cosa era mai successo? Non certo un sovraccarico, visto che questo tipo di problemi non esiste a quei livelli e comunque verrebbe risolto in pochi minuti! Forse un terremoto aveva colpito la sede dell’INGV? Ebbene, sappiate che questo succede proprio quando si verificano gravi catastrofi… Il motivo? Semplice, come ben sa chi è nell’ambiente, occorre assicurarsi di cancellare in gran fretta dal sito… beh, siete intelligenti, non fatemi dire di più!
A questo proposito, dovrebbe far riflettere che a guidare da quasi trent’anni un “carrozzone” come l’INGV (che, come ben si sa nell’ambiente, ha a suo tempo mutato nome da ING in INGV per permettere l’ennesima rielezione a presidente di Enzo Boschi), sia una persona che, come segnalato da un gentile lettore, in un’intervista ha dichiarato delle cose che farebbero rizzare i capelli pure a chi non li ha… Ecco, se volete farvi due amare risate (dati i morti che ci sono stati di mezzo…), un breve stralcio tratto dall’intervista completa a Boschi:
“Il ministro Gelmini ha fatto l’esame a Reggio Calabria perché era più facile? E allora? Al posto suo l’avrei fatto anch’io! […] Anch’io ho fatto tutto quello che in genere si fa per fare carriera. Ho leccato il sedere quando c’era da leccarlo, ho assecondato, ho chinato la testa […] Sono sempre stato gentile con i potenti perché sapevo che avrebbero potuto aiutarmi”.
Dulcis in fundo, pochi sanno che il prof. Boschi vive a Bologna e, pur dirigendo e avendo la responsabilità dell’INGV — il più importante istituto di ricerca italiano nel campo di vulcani, terremoti, alluvioni, etc. — normalmente si reca al lavoro a Roma solo per tre giorni alla settimana (come candidamente da lui dichiarato in un’altra intervista che posso fornire su richiesta).
E’ un po’ come se voi decideste di andare al lavoro “per hobby”. Del tipo: “Che faccio oggi?” “Mah, magari faccio una ‘capatina’ a Roma per far vedere che esisto, sennò se ne accorgono…”. E la cosa funziona, visto che è riuscito a stare attaccato alla propria poltrona per quasi trent’anni, cosa credo mai successa non solo all’estero ma anche in altri enti di ricerca italiani di questo livello. Tanto chi lo controlla? E’ lui il capo, e chi è sotto di lui non può che accettare (e ovviamente tollerare di malavoglia) una simile situazione. In qualsiasi altro Paese civile ci si scandalizzerebbe (e si pretenderebbero le dimissioni) per molto ma molto meno…
PER I DECISORI POLITICI E, OVVIAMENTE, PER CHI DI COMPETENZA
Elenco delle MISURE PREVENTIVE che possono fare seguito alle previsioni a MEDIO-TERMINE e a MEDIO-RAGGIO dei terremoti” (già oggi effettuate, vedi sopra intervista al prof. Giuliano Panza)
Il seguente elenco di azioni concrete che possono essere intraprese “con discrezione” (low-key actions) a seguito delle previsioni a MEDIO-TERMINE e a MEDIO-RAGGIO dei terremoti, è stato pubblicato per la prima volta nel 1991 (Kantorovich e. Keilis-Borok, 1991), ed analizzato, più recentemente, durante l’International Framework for Development of Disaster Reduction Technology List on Implementation Strategies, Meeting on “Disaster Reduction Hyperbase” (NIED, Tsukuba, Giappone, 27-28 Febbraio 2006).
In generale, la previsione di un terremoto di una data magnitudo può avere un’estensione TEMPORALE che va da zero (è il caso della famosa cosiddetta “zonazione sismica”, che non contiene informazione sul tempo: si tratta della suddivisione del territorio in aree che presentano uno stesso rischio sismico), fino alle previsioni a lungo termine (decine di anni), passando naturalmente per quelle, intermedie, a medio-termine (dell’ordine dei mesi o anni) ed a breve termine (dell’ordine di ore o giorni).
Per quanto riguarda, invece, l’estensione SPAZIALE, le previsioni possono variare da quelle a lungo raggio (migliaia di chilometri) fino alla localizzazione esatta della sorgente del terremoto (decine di chilometri).
Similmente, le MISURE PREVENTIVE possono andare dalla definizione di normative antisismiche adeguate, alla dichiarazione di allarmi a medio-termine ed alla messa in sicurezza delle strutture a rischio elevato, fino all’imminente “allarme rosso”.
Diversi intervalli temporali, dalle decadi ai secondi, sono infatti necessari per intraprendere le diverse azioni di prevenzione (si vedano in proposito Keilis-Borok e Primakov, 1997 e Kantorovich e Keilis-Borok, 1991). Essendo caratterizzate da costi diversi, tali misure possono essere realisticamente adottate entro aree e periodi di tempo differenti.
L’elemento essenziale per la mitigazione dei danni entro una regione di interesse consiste proprio nel tempestivo e progressivo aumento o riduzione delle misure di sicurezza, in funzione dello stato di allerta in corso.
Le misure di sicurezza elencate qui di seguito non sono indipendenti, ma compongono un’ovvia GERARCHIA: esse infatti acquistano significato solo se attivate in un certo insieme ed in un certo ordine, come parte di uno scenario di risposta alla previsione.
a) Misure di sicurezza PERMANENTI, che possono essere adottate nell’arco di decenni:
– Limitazioni nell’utilizzo del territorio, specialmente per strutture ad elevato rischio ed attività che possono indurre terremoti
– Normativa sismica per l’edilizia, che richieda l’adeguamento antisismico degli edifici;
– Restrizione delle norme generali di sicurezza;
– Potenziamento dei servizi di pubblica sicurezza;
– Assicurazione e tassazione specifica;
– Raccolta ed analisi dei dati per la stima del rischio sismico e per l’identificazione dei precursori del terremoto.
– Preparazione della risposta alla previsione e delle attività post-disastro:pianificazione; definizione della normativa di base; accumulo delle scorte;
simulazione degli allarmi, formazione della popolazione, ecc.
b) Misure di sicurezza TEMPORANEE, che possono essere adottate come risposta ad un allarme:
– Rafforzamento delle misure di sicurezza permanenti (si veda l’elenco precedente);
– Applicazione di una legislazione di emergenza (fino alla legge marziale), per consentire una risposta razionale alla previsione;
– Applicazione di disposizioni economiche obbligatorie;
– Neutralizzazione delle potenziali sorgenti ad alto rischio: linee di comunicazione (elettrodotti, oledotti, gasdotti, ecc.); centrali nucleari; impianti chimici; edifici precari (sospensione delle attività, parziale disassemblaggio, demolizione, ecc);
– Evacuazione della popolazione e di strutture altamente vulnerabili (e.g scuole ed ospedali);
– Mobilizzazione dei servizi di soccorso;
– Predisposizione delle misure di intervento e soccorso a lungo termine (ripristino delle strutture abitative, degli apparati produttivi e delle attività lavorative, ecc);
– Monitoraggio dei cambiamenti socio-economici e previsione-prevenzione dei rischi eventualmente indotti;
ULTERIORI AZIONI concrete che possono essere intraprese con discrezione sono:
– Definizione di un piano di ristrutturazione per gli edifici strategici nell’area allertata;
- Verifica della pronta operatività dei piani di soccorso;
– Verifica dello stato degli alloggi temporanei (e.g. tende, strutture prefabbricate, ecc), eventualmente immagazzinate nei centri della Protezione Civile, e garanzia della loro pronta disponibilità;
– Intensificazione delle pratiche di prontezza operativa, aumentando la frequenza delle attività che coinvolgono studenti e Protezione Civile;
– Diffusione sistematica, attraverso i media, di semplici istruzioni per la predisposizione di punti di soccorso, in corrispondenza delle parti più resistenti degli edifici, forniti dei viveri essenziali (acqua, cibi di emergenza, oggetti di primo soccorso, ecc.).
Le misure elencate sono, seppur in modo diverso, applicabili su scala internazionale, nazionale, regionale e locale.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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