MENO (PRO)FUMO, PIU’ ARROSTO (SPERIAMO)
22 Settembre 2010di Gianluigi De Marchi
Unicredit volta pagina, iniziando il “dopo Profumo”; da piccolo azionista, da giornalista finanziario, da cittadino torinese dico una parola sola: “Finalmente!”
L’era Profumo è stata caratterizzata da una spasmodica ricerca del profitto a tutti i costi e della crescita dimensionale della banca senza tener conto dei problemi connessi all’integrazione di persone, culture e mentalità diverse che hanno creato disagi in quasi tutti i settori operativi del colosso creditizio.
I piccoli azionisti sono rimasti delusi dalle roboanti promesse del manager che, negli anni d’oro della “finanza creativa” aveva promesso (e per un certo periodo realizzato) una forte valorizzazione delle azioni. Certo, l’Unicredit in borsa è salita da 2 euro a 7 euro in pochi anni, ma è poi miseramente crollata da 7 euro a poco più di 70 centesimi nel giro di pochi mesi. Quanti risparmiatori ci hanno rimesso le penne? Con il titolo che veleggia a stento a 2 euro, chi spera di ricuperare i soldi avendolo acquistato a 7 deve puntare su un rialzo del 250%! Ci vorranno anni, forse decenni…
I clienti sono rimasti scottati da tante iniziative della banca imposte dal management. Facciamo riferimento da una parte ad investimenti “fasulli” come Parmalat, Cirio Giacomelli (per le quali sia la vecchia Unicredit sia la Banca di Roma, poi fusa con Unicredit, sono stati condannati in molti Tribunali per aver piazzato “titoli tossici” ad ignari risparmiatori), dall’altra ai famigerati contratti derivati che hanno portato alla disperazione (in migliaia di casi al fallimento) tante piccole aziende.
Gli amministratori locali sono rimasti delusi (ma potremmo usare termini più crudi…) nel vedersi sfilare banche-gioiello (Credito Italiano, Cassa di Risparmio di Torino, Cassa di Risparmio di Verona, Credito Romagnolo ed altre) che si sono messe a scimmiottare i colossi americani giocando al risiko finanziario in Estonia o in Kazakistan (l’ultima banca che Profumo ha voluto a tutti i costi comprare nel paese caucasico si è rivelata un bidone pazzesco ed in bilancio non vale più quasi nulla…) dimenticandosi dei tanti Pautasso, Brambilla o Bruseghin che lottavano per sopravvivere.
I dipendenti sono rimasti scottati ed in molti casi umiliati: illusi di essere protagonisti del mercato finanziario hanno dovuto presto fare i conti con prepensionamenti, “scivoli all’uscita”, trasferimenti selvaggi, smarriti fra l’altro dal modello organizzativo delle tre banche “verticali” che nessuno ha mai ben digerito.
Forse oggi i grandi quotidiani tracceranno altri bilanci più “morbidi” (d’altronde non hanno mai espresso critiche vere all’operato del banchiere genovese quando era in auge) ma a noi abituati a parlare chiaro e senza peli sulla lingua viene solo una parola: “Finalmente!”
E speriamo che chi viene dopo Profumo porti avanti una banca con meno fumo e più arrosto…