La guerra dei ripensamenti
26 Marzo 2011di Francesco Ginanneschi – riceviamo e volentieri pubblichiamo
Dichiarazione n. 1: L’Italia deve compiere scelte difficili, ma è suo dovere sostenere il risorgimento Arabo.
Dichiarazione n. 2: Non siamo in guerra.
Dichiarazione n. 3: Gheddafi deve andare via.
Dichiarazione n. 4: Il mondo è pieno di famosi democratici e qualche ministro parla a vanvera.
Se un lettore fittizio ( pertanto frutto esclusivo della nostra fantasia, un modello astratto d’uomo ) non avesse alcuna cognizione dello stato attuale della crisi libica e delle conseguenti reazioni in Italia, molto probabilmente crederebbe di non compiere un’impresa particolarmente impegnativa nell’associare le quattro dichiarazioni in alto ad altrettante aree politiche, ritenendole facilmente catalogabili. Così facendo, però, compirebbe quattro clamorosi errori.
La prima dichiarazione assomiglia ad un proclama degno di un falco bushiano sostenitore dell’esportazione della democrazia sulla punta delle baionette. Chi potrebbe, in Italia, propugnare una posizione tanto interventista? L’ignaro giocatore (al quale ho volutamente taciuto l’esistenza di una trappola ) mi risponderebbe, in buona fede, additando un membro del centro-destra, molto probabilmente del PDL. Primo errore. Le parole in questione sono state pronunciate dal Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, non da un parlamentare guerrafondaio.
La seconda proposizione, in apparenza, sembra appartenere alla stessa famiglia politica della prima e quindi non pare fuori luogo attribuirla ad un conservatore. Secondo errore. Siamo in presenza di un’altra dichiarazione fatta dal Capo dello Stato. Il nostro giocatore, che è un appassionato studioso di stregoneria ed occultismo, starà pensando che il demone maligno di Donald Rumsfeld si sia introdotto nel corpo del presidente Napolitano. Ma le sorprese non sono terminate.
Di fronte alla terza dichiarazione, che propone la secca brutalità di un ultimatum, il giocatore è francamente perplesso. Egli non riesce a capire chi, nell’Italia dell’amicizia bipartisan, possa aver pronunciato delle parole tanto perentorie. L’unico, pensa, può essere Di Pietro. Mi addolora rivelargli che la risposta corretta è Franco Frattini, Ministro degli affari esteri. Il personaggio che abbiamo creato, a questo punto, non resiste allo shock ed ha quasi un mancamento.
Con qualche dubbio circa la sua capacità di reggere l’urto finale, lo faccio riflettere sulla quarta opinione. La nostra valorosa cavia non è digiuna di conoscenze storiche e scorge nel primo periodo (“il mondo è pieno di famosi democratici“) una somiglianza con l’invettiva mussoliniana contro le “democrazie plutocratiche dell’occidente”. Ma il fatto che, per l’autore della dichiarazione, “qualche ministro” parli a vanvera, lo convince a puntare il dito contro un indistinto esponente dell’opposizione. Quarto sbaglio, manco a dirlo. Devo mestamente rivelare al disinformato e fittizio giocatore che la quarta dichiarazione non è stata rilasciata da un antagonista antisistema, non da un tribuno della sinistra in preda al furore demagogico e neppure da un intellettuale aristocraticamente rivoluzionario. L’autore è in realtà un ministro della repubblica, ossia un pubblico ufficiale che concorre alla formazione dell’indirizzo politico. Il ministro in questione è Umberto Bossi.
Quella che vi ho appena proposto è soltanto una simulazione, che spero tuttavia faccia riflettere una platea di persone reali (non immaginarie come il giocatore di prima) sulle disinvolture della politica.
La risoluzione 1973 approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha autorizzato i membri dell’organizzazione a colpire le strutture militari Libiche per garantire il rispetto della no-fly zone , per interrompere il bagno di sangue perpetrato dai lealisti e per scongiurarne altri (prima dell’inizio dei bombardamenti Gheddafi aveva trucemente minacciato che i suoi soldati, una volta entrati a Bengasi, sarebbero passati casa per casa). L’Italia ha deciso di partecipare alla coalizione mettendo a disposizione le basi NATO presenti sul suo territorio e prendendo pure parte direttamente alle operazioni aeree e navali.
Il nostro allineamento alla posizione emersa in sede ONU è stato ovviamente il frutto, essendo l’Italia uno stato costituzionale regolato dal diritto, prima di un voto nelle commissioni parlamentari esteri e difesa, poi di un pronunciamento dell’assemblea. In questa sede è emersa una preoccupante frattura in seno alla maggioranza, avendo la Lega Nord manifestato sin da subito la sua contrarietà ad un coinvolgimento diretto dell’Italia e la convinzione dell’opportunità di una posizione cauta come quella assunta dal governo Tedesco. Quest’orientamento, supportato da forti venature demagogiche e da robuste motivazioni elettorali, ha messo il centro destra in seria difficoltà, alla luce anche dell’entusiasmo con cui il PD ha parallelamente accolto la decisione del Palazzo di vetro.
Nonostante tutte le premesse per un voto compatto in aula che certificasse l’esistenza di una maggioranza trasversale, il risultato finale si è manifestato nella forma più classica di molteplici mozioni contrapposte, tra le quali ha ricevuto il maggior numero di voti quella presentata da PDL e Lega (che hanno così siglato un instabile armistizio).
Le parti si sono parzialmente invertite rispetto ad otto anni fa, quando l’Amministrazione Bush mosse guerra a Saddam Hussein. Il centro sinistra, allora pacifista, è oggi strenuo difensore dell’intervento armato. Il centro destra, all’epoca molto più filoamericano di oggi, guarda con timore agli eventi bellici ed è attraversato da malumori intestini che non si esauriscono nella “questione Lega”, ma che investono altresì il PDL e la pattuglia dei “Responsabili”.
Il posizionamento geografico dell’Italia ci rende un gigantesco ponte fra Europa ed Africa e sono sotto la nostra giurisdizione le estreme propaggini meridionali del Vecchio Continente, gli avamposti di Pantelleria e Lampedusa. Questo, se da un lato ci obbliga oggi a stare attivamente a fianco dei nostri alleati storici, dall’altro ha giustificato per anni l’instaurazione ed il mantenimento di rapporti speciali con il regime di Tripoli. Ma l’inevitabile specialità di questi rapporti, incontrollabilmente degenerata, ci ha costretto a vedere il nostro presidente del consiglio impotente davanti alle inutili ed oltraggiose bislaccherie di Gheddafi.
Adesso Gheddafi non è più l’amico fraterno cui si concede di tenere lezioni sulla democrazia e la religione e di organizzare spettacoli equestri. Egli è ora il nemico, nel senso più spietato della parola. Siamo passati dal baciamano alle bombe e la svolta, allucinante e vertiginosa come le traiettorie di un ottovolante, ha scisso e poi ricucito la maggioranza parlamentare ed il governo.
Dall’altra parte c’è una sinistra che rimprovera l’avversario per i suoi tentennamenti e che finge di non ricordare quanto essa stessa sia stata divisa in due sulla politica estera negli anni in cui ha governato.
Sentire il Capo dello Stato (il quale è anche una figura di spicco del partito progressista) difendere a spada tratta la necessità di un intervento armato ed auspicare il sostegno internazionale alla lotta per la libertà, fa gioire coloro che in tempi non remoti erano stati accusati (proprio dai compagni di Napolitano) di essere degli spietati imperialisti complici di una dottrina sanguinaria.
Si replica a quest’osservazione facendo correttamente notare che all’epoca la scelta degli USA fu unilaterale, mentre oggi la guerra è rivestita da un involucro di legalità internazionale per via del pronunciamento dell’ONU. L’osservazione, lo ripeto, è corretta ma insufficiente a giustificare la diversità di posizione. L’insufficienza deriva dal fatto, in primo luogo, che oggi la sinistra fa sostanzialmente propria l’idea, di matrice conservatrice, che si possa, se non esportare (cosa peraltro possibile e nobile), almeno suscitare un’evoluzione democratica in altri paesi attraverso l’esercizio della forza bellica. Che il consenso all’intervento maturi in una sede istituzionale (segnatamente, l’ONU) oppure all’esterno di essa, è una questione formale che di poco muta la sostanza delle cose.
In secondo luogo, il pacifismo DS-Margherita-PD è incontrovertibilmente relativo, ossia azionabile solo in caso di guerra ingiusta. Questa è una guerra giusta. Perché? Perché, appunto, decisa secondo i riti del diritto internazionale (si legga a tal proposito la Carta delle Nazioni Unite del ’45). Addirittura, come dice Napolitano, il fatto che sia stata avallata dall’ONU non la rende neppure una guerra. L’affermazione è molto discutibile ed insidiosa. Così si vuole forse inibire quell’istintivo orrore che l’animo umano avverte quando si parla della guerra. Capisco il comprensibile dovere di tranquillizzare la propria comunità che ha un capo di stato, ma non credo si possano fare progressi attardandosi in questioni meramente nominalistiche. Con ciò non voglio contestare la linea di Napolitano, al contrario trovo estremamente bello che il presidente abbia a cuore i diritti e le libertà dei popoli oppressi dalle tirannie e conseguentemente non posso che giudicare come doverosa ed inevitabile, ma anche come difficile, la scelta italiana.
Proprio quest’anno ricorre il centenario dell’impresa coloniale voluta da Giolitti che sottrasse la Tripolitania e la Cirenaica al governo Ottomano. In questo secolo si è passati dalla colonizzazione alla decolonizzazione e dall’ostilità alla riconciliazione. Cento anni dopo, una nuova guerra. Neocolonialista? No, almeno non da parte dell’Italia…
Un commento presente
Segnalo il libro di Massimiliano Cricco «Il petrolio dei Senussi – Stati Uniti e Gran Bretagna in Libia dall’indipendenza a Gheddafi (1949-1973)», Edizioni Polistampa, Firenze 2002.
Scritto da Fabrizio Spinella il 26 Mar 2011