ABOLIAMO LE “SCATOLE CINESI”!
28 Febbraio 2012di Gianluigi De Marchi
All’inizio del 1900 Luigi De Lupis ebbe un’intuizione geniale: costruire macchine per scrivere, un marchingegno che stava diffondendosi con successo nel mondo delle aziende.
Fondò una fabbrichetta ad Ivrea che presto crebbe, occupando decine di operai ed impiegati.
Il figlio Alberto sviluppò ulteriormente gli affari, iniziando anche ad esportare verso l’Europa.
Ma le dimensioni imponevano investimenti, ed il dottor De Lupis non voleva mettere i suoi soldi con il rischio di perderli. Ebbe la buona intuizione di quotare la società in Borsa, vendendo un po’ meno della metà delle azioni a piccoli risparmiatori, ben felici di entrare in società con lui. Luigi manteneva ben saldo il controllo con la maggioranza assoluta del 50,1%.
Il nipote Mario iniziò a vendere anche negli USA ed in Giappone, rendendosi presto conto che non l’avrebbe fatta da solo; e così costituì una società finanziaria alla quale diede il suo pacchetto di maggioranza della fabbrica produttiva. Mantenne il 50% e collocò il resto in Borsa, raccattando un sacco di soldi. La sua quota nell’azienda produttiva scese così al 25%.
Il pronipote Carlo De Lupis, che aveva studiato alla Bocconi, ebbe l’intuizione geniale: costituire una finanziaria che possedesse la finanziaria controllante, collocando in Borsa metà del capitale (e così la sua quota nell’azienda produttiva scese al 12,5%). Dopo un anno creò un’altra finanziaria che controllava l’altra, vendendo metà del capitale ad azionisti di minoranza e quotandola in Borsa; a quel punto il suo impegno finanziario nel gruppo era sceso al 6,25%.
Quando arrivò la crisi delle macchine per scrivere, fu un disastro.
Ma non per lui, che ormai aveva solo una quota marginale del capitale e possedeva palazzi, ville giornali e yachts in tutti i Paesi del mondo (soprattutto in quelli che non fan pagare tasse…).
Vogliamo che altri De Lupis continuino ad operare così, sfruttando la licenza di creare “scatole cinesi” una dopo l’altra?
O vogliamo provare ad intervenire, suggerendo al Presidente del Consiglio Monti (che è anche Ministro dell’Economia) una semplice legge di un solo articolo che risolva il problema e riporti la produzione (e non la finanza) al centro del palcoscenico?
“E’ fatto divieto di costituire società finanziarie il cui unico scopo è quello di detenere il controllo di altre società finanziarie. Una società finanziaria o holding può partecipare al capitale solo di società industriali o commerciali, che svolgono regolarmente la loro attività e conseguano un fatturato minimo di almeno 10 milioni di euro. Le società finanziarie che attualmente non rispettano le disposizioni della presente legge devono essere liquidate entro 12 mesi dall’entrata in vigore del provvedimento.”
Meno “scatole cinesi”, più macchine per scrivere, più mobili, più abiti confezionati, in una parola, meno “aria fritta” e più PIL!
Gianluigi De Marchi – demarketing2008@libero.it
Un commento presente
Ciao. Nella favoletta che apre il mio post del 26 febbraio 2012 nel mio blog http://www.trentoblog.it/riccardolucatti, ho parlato anch’io di scatole cinesi. Le mie erano scatole politiche. Queste qui sono finanziarie. Ma il concetto è lo stesso: sempre cinesi sono, da evitare. Sottoscrivo quindi in pieno la petizione di Gianluigi De Marchi.
Scritto da Riccardo il 1 Mar 2012