E alla fine Feltri fa un favore al vescovo anti-Berlusconi
1 Settembre 2009di Franco Bechis dal suo blog
Con un pò di approssimazione ieri pomeriggio alcune agenzie di stampa hanno battutto la notizia: «La Cei chiede un passo indietro al direttore di Avvenire, Dino Boffo». Ad avanzare la richiesta (facendo poi mezza rettifica) non è stata in realtà l’assemblea dei vescovi, ma un autorevole esponente come mons. Domenico Mogavero (nella foto), vescovo di Mazara del Vallo e presidente del consiglio Cei per gli Affari giuridici, che ha ipotizzato un «passo indietro» di Boffo, «pur incolpevole», per «il bene del giornale e della Chiesa». Mogavero è il leader dell’ala anti-berlusconiana dei vescovi italiani. Ironia della sorte è proprio lui- che accusava Boffo di eccessiva morbidezza nei confronti del premier- a schiacciare la palla alzata da Vittorio Feltri.
(…) Perché la sostanza di questa italianissima storia è proprio questa. Di cosa Feltri e il suo Giornale hanno accusato il direttore di Avvenire? Di avere criticato i costumi anche sessuali del premier in un paio di occasioni, una volta proprio a firma Boffo che rispondeva a una lettera assai critica di un lettore (e in quella redazione probabilmente l’effetto-escort ne ha originata più di una). Critica legittima, ma per fare la morale ad altri bisognerebbe avere una vita privata in ordine: altrimenti- sostiene Feltri- bisognerebbe tacere. Tesi a cui è stato allegata copia di un certificato penale di antico patteggiamento di Boffo per il reato previsto dall’articolo 660 del codice penale (molestie). E il contenuto di una informativa che lo accompagnava, scritta in linguaggio da questurino e assai simile a una di quelle veline che i servizi hanno in abbondanza prodotto nella storia italiana per dire che lo stesso Boffo era stato “attenzionato” per presunta inclinazione omosessuale.
Centinaia di veline simili contenevano pure balle utilizzate per le guerre fra bande di cui è piena la politica italiana, altre contenevano vox populi spesso vicina alla realtà. Ma insomma, il contenuto degli editoriali del Giornale di questi giorni era pressapoco questo: Boffo non dovrebbe permettersi commenti sulla moralità di Berlusconi. La campagna è stata appunto sposata dall’arcivescovo di Mazara del Vallo, che da mesi ha la linea diametralmente opposta: Avvenire e il suo direttore sarebbero stati troppo teneri nei confronti sia del premier che del suo governo. Mons. Mogavero non è uno che manca di chiarezza: si felicita pure che la vicenda Boffo abbia mandato gambe all’aria lo scandaloso (per lui) incontro fra Berlusconi e il cardinale Tarcisio Bertone a l’Aquila: Berlusconi è peccatore, di quelli che manco si debbono perdonare.
Il 24 giugno scorso sempre Mogavero chiedeva al premier italiano le dimissioni che oggi ventila per Boffo. Anche allora disse, come uno che la sa lunga: “non escludo un passo indietro del presidente del Consiglio”, che tutti come oggi interpretarono come un attacco diretto della chiesa italiana al governo. Insomma, il povero Boffo viene attaccato per avere criticato Berlusconi come per non averlo attaccato abbastanza.
Probabilmente oggi il direttore di Avvenire si difenderà anche dall’accusa principale, quella contenuta in quel patteggiamento. L’articolo 660 del codice penale all’epoca puniva con ammenda reati assai diversi fra loro. In quelle molestie rientravano il cane che abbaiava troppo, sms e telefonate indesiderate, schiamazzi e disturbi della quiete pubblica. In cassazione nel 2008 è arrivata una vicenda di una proprietaria di cani e gatti che con le loro flatulenze ammorbavano i vicini. Reati non proprio da galera.
Nel caso- ma nessuno parla- probabilmente si trattava di telefonate indesiderate. L’utenza era intestata al direttore di Avvenire, ma negli atti secretati è contenuta l’ipotesi che ad usare l’apparecchio non fosse l’intestatario: si trattava di terza persona cui era stato prestato il telefonino.
Secondo la ricostruzione fatta da fonti attendibili questa vicenda sembra intrinsecamente legata a un’altra drammatica storia di tentato recupero dalla tossicodipendenza, purtroppo tragicamente fallito.
Il riserbo adottato e quel patteggiamento, necessario ad evitare ogni tipo di clamore a protezione di più persone avrebbero questa motivazione.
Per come si sono messe le cose e per il linciaggio messo in atto credo che oggi sia impossibile tenere secretato il contenuto di quel patteggiamento…