Cultur@ Bicentenario Ugo Foscolo: l’incantesimo della parola
26 Gennaio 2009Il 18 marzo del 1808 Foscolo ottenne la cattedra di eloquenza all’Università di Pavia.
Il 22 gennaio del 1809 alla lezione inaugurale del corso egli pronunciò la sua celebre ed appassionata orazione Dell’origine e dell’ufficio della letteratura.
Un testo in cui l’autore riflette sulla natura del linguaggio, l’uso sociale della parola (si fanno nascere le leggi, vengono fondate le religioni, si tramandano le conoscenze), evidenziando come la lingua sia indice di progresso, civilizzazione, letteratura.
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha presenziato oggi alla cerimonia con la quale l’Università di Pavia festeggia il secondo centenario dell’Orazione.
Riporto due passaggi del testo foscoliano in cui viene considerato “l’Amor del vero” e “l’incantesimo della parola”.
III Te dunque invoco, o Amore del vero! Tu dinanzi all’intelletto che a te si consacra, spogli di molte ingannatrici apparenze le cose che furono che sono e che saranno; tu animi di fiducia chi ti sente; nobiliti la voce di chi ti palesa; diradi con puro lume e perpetuo la barbarie, l’ignoranza e le superstizioni; te, senza di cui indarno vantano utilità le fatiche degli scrittori, indarno sperano eternità gli elogi dei principi ed i fasti delle nazioni, te invoco, o Amore del vero! Armami di generoso ardimento, e sgombra ad un tempo l’errore di cui le passioni dell’uomo o i pregiudizi del mio secolo m’avessero preoccupato l’animo. Fa che s’alzi la mia parola libera di servitù e di speranze, ma scevra altresì di licenza, d’ira, di presunzione e d’insania di parti. La tua inspirazione, diffondendosi dalla mente mia nella mente di quanti mi ascoltano, farà si che molti mirino più addentro e con più sicurezza ciò ch’io non potrò forse se non se veder da lontano, ed incertamente additare. Che s’io, seguendo te solo, non potrò dir cosa nuova, perché tu se’ antico e coevo della natura, la quale tu vai sempre più disvelando al guardo mortale, mostrami almeno la più schietta delle sue forme; molteplici forme che, or velate d’oscurità, or cinte di splendore, sconfortano spesso ed abbagliano chi le mira.
IV Ogni uomo sa che la parola è mezzo di rappresentare il pensiero; ma pochi si accorgono che la progressione, l’abbondanza e l’economia del pensiero sono effetti della parola. E questa facoltà di articolare la voce, applicandone i suoni agli oggetti, è ingenita in noi e contemporanea alla formazione de’ sensi esterni e delle potenze mentali, e quindi anteriore alle idee acquistate da’ sensi e raccolte nella mente; onde quanto più i sensi s’invigoriscono alle impressioni, e le interne potenze si esercitano a concepire, tanto gli organi della parola si vanno più distintamente snodando. Chè le passioni e le immagini nate dal sentire e dal concepire o si rimarrebbero tutte indistinte e tumultuanti, mancando di segni che nell’assenza degli oggetti reali le rappresentassero, o svanirebbero in gran parte per lasciar vive soltanto le pochissime idee connesse all’istinto della propria conservazione, ed accennabili appena dall’azione o dalla vita inarticolata. Il che si osserva negli uomini muti, i quali non conseguono né ricchezza né ordine di pensieri che non siano richiesti dalle supreme necessità della vita, se non quando ai segni della parola articolata riescano a supplire co’ segni della parola scritta. E un segno solo della parola fa rivivere l’immagine tramandata altre volte da’ sensi e trascurata per lunga età nella mente; un segno solo eccita la memoria a ragionare d’uomini, di cose, di tempi che pareano sepolti nella notte ove tace il passato. Il cuore domanda sempre o che i suoi piaceri siano accresciuti o che i suoi dolori siano compianti, domanda di agitarsi e di agitare perché sente che il moto sta nella vita e la tranquillità della morte; e trova unico aiuto nella parola, e la riscalda de’ suoi desideri, e la adorna delle sue speranze, e fa che altri tremi al suo timore e pianga alle sue lagrime, affetti tutti che senza questo sfogo proromperebbero in moti ferini e in gemito disperato. E la fantasia del mortale, irrequieto e credulo alle lusinghe di una felicità ch’ei segue accostandosi di passo in passo al sepolcro, la fantasia, traendo dai secreti della memoria le larve degli oggetti, e rianimandole con le passioni del cuore, abbellisce le cose che si sono ammirate ed amate; rappresenta piaceri perduti che si sospirano; offre alla speranza e alla previdenza i beni e i mali trasparenti nell’avvenire; moltiplica ad un tempo le sembianze e le forme che la natura consente alla imitazione dell’uomo; tenta di mirare oltre il velo che ravvolge il creato; e quasi per compensare l’umano genere dei destini che lo condannano servo perpetuo ai prestigi dell’opinione e alla clava della forza, crea la deità del bello, del vero, del giusto, e le adora; crea le grazie, e le accarezza; elude le leggi della morte, e la interroga e interpreta il suo freddo silenzio; precorre le ali del tempo e al fuggitivo attimo presente congiunge lo spazio di secoli e secoli ed aspira all’eternità; sdegna la terra, vola oltre le dighe dell’oceano, oltre le fiamme del sole, edifica regioni celesti, e vi colloca l’uomo e gli dice: Tu passeggerai sovra le stelle: così lo illude, e gli fa obbliare che la vita fugge affannosa e che le tenebre eterne della morte gli si addensano intorno; e lo illude sempre con l’armonia e l’incantesimo della parola.
Per chi volesse leggere qualche altra pagina di questa interessante “orazione”, il testo originale si trova qui.
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E per approfondire questo articolo, qui tutti i testi completi di Ugo Foscolo:
http://foscolo.letteraturaoperaomnia.org/
Scritto da Letteratura OperaOmnia il 27 Apr 2012