Amarcord: biografia non ufficiale di Beppe Grillo
1 Aprile 2009Dopo lunga assenza, Beppe Grillo torna questa sera in tv. Sarà in diretta da Bruxelles su La7 alle 21:10, ospite di Ilaria D’Amico in “Exit”. La puntata odierna sarà dedicata alla privatizzazione dei servizi pubblici. Alle 18:30 il Grillo multimediale sarà invece in video streaming sul suo sito www.beppegrillo.it, sempre dalla capitale belga dove è in visita al Parlamento Europeo. La sua molteplice attività mediatica viene salutata a modo suo da Filippo Facci, che oggi pubblica una nota su Facebook: è una biografia critica pubblicata su Il Giornale circa un anno fa, buona lettura. (sf)
Giuseppe Piero Grillo è nato il 21 luglio 1948 a Savignone, Valle Scrivia. Secondo l’imbarazzante e compiaciuta agiografia «Beppe Grillo», forse il più insignificante libro pubblicato da Mondadori negli ultimi vent’anni, Beppe da Bambino «lanciava urli (sic) alla James Brown» e il padre commentava affettuosamente «Sembra una bestia. Tuo figlio è un idiota». La famiglia in ogni caso di base stava a Genova nel quartiere di San Fruttuoso della celebratissima Piazza Martinez, fucina di geni e lazzaroni dove piccoli leader minimi e massimi sedevano tra il bar Cucciolo e la fermata dell’autobus. Qualche bici, poche motociclette, le ragazze migliori della zona e in qualche modo anche il giovane Grillo, patito di calcio come tutti gli altri. «Aveva 12 anni e lo portai a fare un provino per una squadra locale sponsorizzata dalla Shell» racconta uno che c’era, «il problema è che il Giuse era una balena, lo chiamavamo Porcellino. Aveva un buon tocco di palla, ma l’allenatore ricordo che mi disse: ma chi mi hai portato?». Giocava a pallone anche Antonio Ricci, che era di Albenga e però a Piazza Martinez, assieme a Roby Carretta, era in qualche modo collaterale: «Ma Ricci non era molto portato. Mi ricordo che nella sua squadra c’era anche Donato Bilancia, il serial killer. Stava sempre al bar Cucciolo». E’ vero: ma era un tipo innocuo e lo chiamavano Belinetta. Del giro era anche Vittorio De Scalzi, quello dei New Trolls. L’unico davvero portato per il calcio pareva il Portento, Orlando Portento, il bello della compagnia nonché un talento comico che quasi tutte le fonti indicano come il vero mentore e inventore di Beppe Grillo, privo tuttavia della sua pervicacia. Portento giunse alla serie B, e nella Sampdoria dei giovani Marcello Lippi e Roberto Vieri, padre di Bobo, ma poi s’infortunò. E’ tornato clamorosamente alla ribalta, Portento, come cabarettista e come marito di quell’Angela Cavagna che ha partecipato al reality show La Fattoria. Un paio di fonti indicano come vero scopritore di Grillo, invece, il gallerista Luigi De Lucchi, fondatore de L’Instabile, localino di cabaret forse unico nel suo genere.
Il giovane Grillo tutto sommato stava economicamente benino. Si diplomò ragioniere all’Ugolino Vivaldi, che era un istituto privato per rampolli-bene con retta piuttosto esosa. S’iscrisse anche a Economia e commercio, ma presto la piantò lì. Il padre, Enrico, possedeva una fabbrica di fiamme ossidriche (la Cannelli Grillo) e lo reclamava, ma lui da principio non ci pensava neanche. Secondo il più interessante libro «Beppe Grillo» di Paolo Crecchi e Giacomo Rinaldi (Ariberti editore) «il ragionier Grillo prova a lavorare nell’azienda di papà con scarsi risultati, rimettendoci 200mila lire degli anni Sessanta». Altrimenti consigliato, per un certo periodo fece il piazzista di jeans per la Panfin, ma fu licenziato. Era un ragazzo normale, un po’ buffo, tifava Sampdoria, vestiva decentemente, aveva i jeans Sisley che furoreggiavano, andavano di moda le basette lunghe che lui però non aveva: le improvvisava schiacciandosi giù i capelli col sapone. Non era bello, ma sopperiva con la simpatia. Era secondogenito e un po’ il cocco di casa, suo padre non disdegnava di prestargli la Fiat 1100 che per rimorchiare si rivelò fondamentale, anche se aveva il difettuccio del pesare come una balena e quegli incisivi molto sporgenti: e con le ragazze era un problema, dicevano che baciandolo le pungeva. La soluzione fu drammatica: un giorno, alla discoteca Peppermint che era la più importante di Genova, ebbe la pensata di tampinare la ragazza di un certo Luciano Rovegno, che non era propriamente uno stinco di santo: e infatti reagì dandogli una tale testata da fargli saltare tutti gli incisivi che restarono lì, sparsi per terra. Glieli rimisero. Dritti.
La celebre tirchieria di Grillo (parsimonia, si dice a Genova) in quel periodo prende le forme di incontrollabili leggende. Ben quattro presunti testimoni raccontano che girasse con una tuta appositamente senza tasche per non avere soldi da spendere. All’epoca fumavano tutti, ma lui prendeva le Hb nel pacchetto da dieci. Non pagava mai niente, non offriva mai niente, e questo lo dicono davvero tutti: occorre tener conto che dei genovesi che lamentano la tirchieria altrui sono come dei napoletani che accusassero qualcuno d’essere chiassoso. «Non era tirchio, era malato» racconta un suo ex sodale: «”Offrì qualche caffè ogni tanto, risparmierai col cardiologo” gli dicevamo sempre». Più avanti, nel 1980, la concessionaria Fiat Piave di Genova gli regalò una Punto: lui si lamentò perché non aveva l’autoradio. Altra leggenda vuole che nella sua villa di Sant’Ilario abbia frutti e ortaggi di plastica, e la citata biografia di Crecchi e Rinaldi conferma tutto: «Era guardato con diffidenza dai contadini perché rifiutava ostinatamente di coltivare le sue fasce di terra, ma un giorno ha avuto un’intuizione delle sue sistemanfo ortaggi di plastica turgidi e coloratissimi tra gli ulivi e i pitosfori».
Andrea detto Andreino, il fratello minore, ha raccontato alla Stampa d’avergli prestato un completo di gabardine nero salvo riaverlo completamente liso. «Mi deve ancora restituire una giacca a soffietto che gli prestai negli anni 70» racconta invece Portento, “e mi deve ancora pagare una camicietta da donna che regalò a un’amica, dice l’ex amico che ai tempi aveva un negozio di abbigliamento. Antonio Ricci ha raccontato che «Io sparecchiavo, e se buttavo via delle briciole Beppe le recuperava dalla spazzatura e il giorno dopo ci impanava la milanese». E’ stata invece la seconda moglie di Gillo, Parvin Tadjk, intervistata a Crozza Italia su La7, a parlare degli snervanti controlli del marito sugli scontrini della spesa. Dopo la balzana ipotesi che Beppe Grillo si sia fatto crescere la barba per risparmiare sulla lamette, altro ritornello genovese, la carriera di Grillo entra nel vivo.
Le prime tracce visive di un Beppe Grillo volontariamente comico sono del 1970: un cortometraggio in super 8 diretto da Marco Paolo Pavese e scritto e interpretato e persino doppiato dal solito Portento; lì si vede il primo Grillo, imberbe. Italia Uno ne mandò in onda degli spezzoni qualche anno fa. Ma Grillo aveva cominciato già da tempo con seratine di cabaret accompagnandosi con la chitarra: circolini, qualche discoteca, molte feste e festicciuole politiche per liberali e socialdemocratici e democristiani e socialisti. Socialisti, sì. «Gl’importava zero della politica» dice ora Portento, «era un frivolo, un cinico», anche se Grillo ogni tanto raccontava di qualche simpatia familiare per i liberali di Giovanni Malagodi. L’avvocato Gustavo Gamalero, boss dei liberali genovesi, lo ingaggiò per alcune cene elettorali prima delle elezioni regionali: 15mila lire a serata. Più di 20mila, in giro, non se ne spuntavano: per questo gli amici lo aiutarono dopo che la famiglia chiuse o quasi i rubinetti. Lo aiutava qualche giovane imprenditore che voleva mettersi in vista; lo aiutava la bella ragazza con la quale stette per quasi dieci anni, Graziella, che vanamente cercò di farsi impalmare; lo aiutava qualche giornalista cui Grillo pietiva sempre qualche buona recensione, e tra questi ha memoria buona Vittorio Siriani, ai tempi al Corriere Mercantile. Insomma lo aiutavano tutti, il che va benissimo: ma ce ne fosse uno che non lamenti ingratitudine. In quel periodo, comunque, i localini di cabaret furoreggiavano: il Kaladium dietro la chiesa di Santa Zita, oppure il Meeting, o ancora L’Instabile di via Trebisonda dove si esibì anche Antonio Ricci o Enzo Braschi. L’Instabile apparteneva al citato Luigi De Lucchi, mentore di Grillo che tuttavia una sera dovette avvedersi dell’ormai storica ingratitudine del suo ormai ex pupillo. Il 27 dicembre 1977 lo aveva invitato all’Instabile, oltretutto per consegnargli un premio, e centinaia di spettatori aspettavano trepidanti. Ma niente: Grillo telefonò e fece sapere che non ce la faceva, era stanco. Disastro: De Lucchi dovette rimborsare i biglietti. Salvo accorgersi, il giorno dopo, che Grillo in realtà aveva preferito esibirsi in un altro localino, il P4, dove lo pagavano di più.
Il vero problema di Grillo, all’epoca, è che non aveva ancora un repertorio tutto suo: prendeva a destra e a manca. Il gran suggeritore rimaneva Portento, per il resto rubacchiava qua e là: cantava sempre, tra altre, le canzoni di Pippo Franco che all’epoca nessuno conosceva. O quasi: “Gli organizzai un provino con un boss di Telemontecarlo, il ragionier Moracca, e il Giuse cantò due canzoni con la chitarra», racconta Portento, che certo non nasconde una quantomeno forte antipatia per Grillo, «poi Moracca mi prese da parte e mi disse: “Orlando, ma è questo il fenomeno? Uno che canta le canzoni di Pippo Franco?”. Ai tempi Grillo non aveva niente di suo: solo la faccia, i denti digrignati».
Nei primi anni Settanta, per cercar di sfondare, Grillo provò a trasferirsi a Milano. Pagavano anche 25mila a serata, da quelle parti. Si fece crescere la barba. Andreino, il fratello, tempestò tutti di telefonate affinchè lo convincessero a tornare: «Fallo provare ancora un anno, è bravo» gli rispose Portento. Poi, più o meno al terzo anno milanese, la grande occasione: al localino «La Bullona» venne Pippo Baudo con una commissione Rai. Grillo s’inquietò, chiamò Portento, si rispolverarono vecchie battute. La sera fatidica Portento sbarcò alla «Bullona» con una sostanziosa claque e tutto scivolò liscio, o quasi. Grillo, sul suo sito, ha scritto che quella sera “improvvisò un monologo”, ma non improvvisò niente. Anzi rischiò, perché Baudo fu curiosamente attratto proprio da Portento che s’agitava dalla platea e lo additava: «Ma dove si veste quello? All’Italsider?». Più tardi, anche se il provino del Giuse era andato benissimo, attorno a Portento si formò un capannello dove spuntava il testone di Baudo, e Grillo non resse la scena. Se ne andò, ingelosito. Una scena analoga a quella raccontata da Dino Risi a margine del film «Scemo di guerra», anno 1984: «Già depresso perché ridotto al ruolo di spalla», ha detto il regista al Corriere della Sera, «Beppe si ingelosì del rapporto speciale che avevo con Michel Coluche: e così, per ripicca, fece la mossa classica dell’attore indispettito: e si diede malato. Per due mesi dovemmo sospendere le riprese. Finché qualcuno non gli fece sapere che se non fosse tornato avrebbe dovuto pagare una penale. Parola magica: da buon genovese si ripresentò sul set». Il controllo legale chiesto dalla casa cinematografica ebbe buon gioco. Grillo girò altri due film, tutti purtroppo sfortunati e distrutti dalla critica: Cercasì Gesù di Luigi Comencini e Topo Galileo di Francesco Laudadio. A Dino Risi è rimasto il dente avvelenato: «La cosa che gli è riuscita meglio è la svolta antipolitica, anche perché è più attore oggi di quando cercava di farlo per davvero. Attenzione, però: non c’è niente di vero nel personaggio che interpreta».
Qui ricomincia l’avventura. E qui si perfeziona la straordinaria attitudine di Grillo di mollare tutti quelli di cui non ha più bisogno. Normale? Dipende. Altri personaggi come Paolo Villaggio e Tullio Solenghi, a Genova, te li raccontano come comunque legati ad amici e radici genovesi: Grillo no. Trovare qualcuno che te ne parli bene, in città, è un’impresa. Per cominciare mollò la fidanzata. Altri non lo ricordano volentieri: «E’ l’essere piu’ falso e opportunista che abbia mai conosciuto in vita mia» racconta il presentatore Corrado Tedeschi, «e non ha neanche un pizzico di umanità. C’é stato un periodo che ci siamo frequentati insieme alle nostre compagne, pensavo che ci fosse stato un minimo di amicizia, poi seppi che parlava malissimo di me». Pare che Walter Chiari non avesse un’opinione molto diversa, ma vallo a sapere. Anche il rapporto con Portento cominciò ad allentarsi, ma resistette perché ancora utile: dopotutto era stato Portento a scrivere “Te la do io la Francia” ancora nel 1969, ben prima dei fortunati «Te la do io l’America» e «Te lo do io il Brasile»: «Dovevamo anche fare “Te la do io Reggio Calabria”, perché io sono di Bagnana Calabra, ma non se ne fece più nulla» dice l’ex amico. Grillo ormai era lanciatissimo. Nel 1977-78 sulla Rai partecipò a «Secondo voi» e nel 1979 a «Luna Park», stesso anno in cui esordì come presentatore a «Fantastico» assieme a Loretta Goggi, programma di Antonio Ricci. Di lì in poi potrà scegliersi nuovi autori che gli scrivano le battute: Ricci medesimo, Stefano Benni, Michele Serra. E’ il successo vero e nondimeno i soldi veri che il fratello Andreino (più grande di lui, in realtà) prese a gestirgli anche perché il Giuse non si fidava di nessuno. La Cannelli Grillo era stata ceduta agli stessi operai che ci lavoravano, e cominciarono altri investimenti. L’attico di Corso Europa venne trasformato in un centro benessere (massaggi, ecc.) curato da certo professor Mario Miranda, ma l’impresina fallì quasi subito. Ben prima di acquistare una villa al Pevero, in Costa Smeralda, acquistò tre appartamenti nel residence Marineledda nel golfo di Marinella, dove Silvio Berlusconi ha la sua famosa villa. Ottenne forti sconti, Grillo, promettendo che sarebbe venuto a fare delle serate di cui non si ha notizia. Fece tutto col fratello, da cui rileverà la maggioranza assoluta (99 per cento) dell’immobiliare Gestimar di Genova. Cominciò anche la sfilza delle belle auto, in ordine sparso: Porsche, Chevrolet Blazer, secondo alcuni una Maserati, e sicuramente, più avanti, una Ferrari 308 bianca e una Ferrari Testarossa (rossa, chiaro) che terrà parcheggiata davanti alla discoteca Davidia di Genova, coperta da apposito telone. Prese persino una moglie: a Rimini conobbe la proprietaria di una pensioncina, Sonia Toni, e in breve si sposarono. A avranno una figlia, Valentina, e Davide, nato purtroppo con dei seri problemi motori. Il girovagare di Grillo tra i residence di Roma e Milano, tuttavia, renderanno le cose difficili molto presto. Su un importante quotidiano nazionale, pochi anni dopo, la moglie rilascerà un’ intervista in cui accuserà il marito di non andarla a trovare praticamente mai e soprattutto di lasciarle sempre pochissimi soldi. Ma oggi i rapporti sono ottimi: per quanto, da ex candidata per i Verdi a Rimini, si è vista negare il famoso bollino grillesco che suo marito rilascia alle liste civiche. Si è arrabbiata molto.
Il tardo 1981 e non il 1980, come erroneamente riferito nel suo blog, è l’anno in cui il comico diviene protagonista di un episodio destinato a segnarlo per sempre. Il 7 dicembre, da Limone Piemonte dove quell’anno scarseggia la neve, decide di partirsene con alcuni amici alla volta di Col di Tenda, un’antica via romana tra la Francia e la Costa ligure che per secoli è stata attraversata da eserciti e mercanti: in pratica sono delle strade sterrate militari che portano a delle antiche fortificazioni belliche. L’idea è sua, e fa niente se la strada è chiusa al raffico. Con lui ci sono i coniugi Renzo Giberti e Rossana Guastapelle, 45 e 33 anni, col figlio Francesco di 8, oltre a un altro amico, Alberto Mambretti. Per farla breve: quel viaggio, d’inverno, fu una follia. E’ una strada d’alta quota non asfaltata: non a caso altri amici e un’opportuna segnaletica l’avevano vivamente sconsigliato. Grillo aveva uno Chevrolet Blazer scuro, un costoso ed enorme fuoristrada rivestito esternamente di legno e peraltro inquinantissimo, e pensava di potercela fare. Un quinto amico, avvedutosi del pericolo, decide a un certo punto di scendere. Finì malissimo: l’auto sbandò su un ruscelletto ghiacciato e scivolò verso una scarpata; Grillo riuscì a scaraventarsi fuori dall’abitacolo, ma gli altri no: i due coniugi col figlio piccolo morirono, l’altro amico rimane gravemente ferito. Sconvolto, Grillo si rifugiò nella casa di Savignone che divideva col fratello.
Aspettando il processo riprese vorticosamente a lavorare. E qui c’è un episodio, raggelante, raccontato in parte dall’unità del 21 settembre scorso. Grillo accetta di partecipare alla Festa dell’Unità di Dicomano (nel fiorentino) per un cachet di 35 milioni. La sera dello spettacolo però diluviava, e gente pochina, sicchè di milioni ne incassarono 15. Flop. I compagni di provincia cercarono di ricontrattare il compenso, ma niente da fare: neppure una lira di sconto. Della segreteria comunista, tutta giovanile, l’unico che aveva una busta paga si chiamava Franco Innocenti, un 26enne che dovette stipulare un mutuo ventennale nonostante avesse la madre invalida al cento per cento.
Poi vennero i film. Aveva appena ultimato «Te la do’ io l’America» e nel 1982 fu protagonista di «Cercasi Gesù» diretto da Luigi Comencini. «Te lo do io il Brasile» invece l’attendeva nel 1984, anno in cui va a processo per l’omicidio colposo.
Emblematico l’interrogatorio in aula: «Quando si è accorto di essere finito su un lastrone di ghiaccio con la macchina?»; «Ho avuto la sensazione di esserci finito sopra prima ancora di vederlo»; «Allora non guardava la strada». Il 21 marzo, dopo una lunga camera di consiglio, Grillon venne assolto dal tribunale di Cuneo con formula dubitativa, la vecchia insufficienza di prove: questo dopo aver pagato 600 milioni alla piccola Cristina di 9 anni, unica superstite della famiglia Giberti. La metà dei soldi forono pagati dall’assicurazione: «La stampa locale, favorevolissima al comico, gestì con particolare attenzione la fase del risarcimento» racconta il collega Vittorio Sirianni. Il Secolo XIX, quotidiano di Genova, s’infiammo con un lungo editoriale a favore dei giudici e dell’avvocato Pasquale Tonolo, ma l’entusiasmo fu di breve durata: l’accusa propose Appello e venne fuori la verità, ossia le prove: il pericolo era stato prospettato, oltretutto, da una segnaletica che nessun giornalista frattanto era andato a verificare. La strada era chiusa al traffico.
La Corte d’Appello di Torino, il 13 marzo 1985, lo condannò a un anno e quattro mesi col beneficio della condizionale, ma col ritiro della patente: “Si può dire dimostrato, al di là di ogni possibile dubbio, che l’imputato risalendo la strada da valle, poteva percepire tempestivamente la presenza del manto di ghiaccio (…). L’esistenza del pericolo era evidente e percepibile da parecchi metri, almeno quattro o cinque, e così non è sostenibile che l’imputato non potesse evitare di finirci sopra», sicchè l’imputato «disponeva di tutto lo spazio necessario per arrestarsi senza difficoltà» ma non lo fece, anzi decise «consapevolmente di affrontare il pericolo e di compiere il tentativo di superare il manto ghiacciato. Farlo con quel veicolo costituisce una macroscopica imprudenza che non costituisce oggetto di discussione».
Non andrà meglio in Cassazione, l’8 aprile 1988: pena confermata nonostante gli sforzi dell’avvocato Alfredo Biondi, improvvidamente inserito da Grillo nella lista dei parlamentari condannati e dunque da epurare: il reato fiscale di Biondi in realtà è stato depenalizzato e sostituito da un’ammenda, tanto che non figura nemmeno del casellario giudiziario, diversamente dal reato di Grillo che perciò, secondo la sua proposta di non candidatura dei condannati, non potrebbe candidare se medesimo.
Ma la vita continua. Nel 1986, poco in linea con certe sue intransigenze future, fu protagonista di alcuni spot per gli yogurt Yomo: «Ci hanno messo 40 anni per farlo così buono», diceva indossando una felpa con scritto «University of Catanzaro». «Lo yogurt è un prodotto buono», si difese lui. Per quella pubblicità vinse un Telegatto. E’ il periodo in cui andò a vivere a Sant’Ilario, la Hollywood di Genova: una bellissima villa rosa salmone, affacciata sul Monte di Portofino, con ulivi e palme e i citati frutti e ortaggi di plastica. Non fece scavare una piscina, ma due: cosa che piacque poco ai vicini e soprattutto al dirimpettaio Adriano Sansa, già poco entusiasto del terrazzo di 100 metri quadri che Grillo fece interamente ricoprire. Qualche modesto provincialismo anche all’interno, tipo la foto dilui avvinghiato a Bill Clinton appoggiata sopra il pianoforte.
Poi c’è la telenovela dei pannelli solari, pardon fotovoltaici. L’ex amministratore delegato dell’Enel, Chicco Testa, si è espresso più volte: ««Grillo diceva che a casa sua, con il solare, produceva tanta energia da vendere poi quella in eccesso. Ma feci fare una verifica e venne fuori che da solo consumava come un paesino». In effetti si fece mettere 20 kilowatt complessivi contro i 3 kilowatt medi delle case italiane, sicchè consumava e consuma come 7 famiglie. L’Enel, dopo varie lagnanze di Grillo, nel 2001 decise di permettere l’allacciamento alla rete degli impianti fotovoltaici (come il suo) e addirittura di rivendere l’elettricità in eccesso all’Enel stessa: quello che lui voleva. Il suo contratto di fornitura, con apposito contatore, fu il primo d’Italia. E da lì parte la leggenda dell’indipendenza energetica di Grillo: in realtà il suo impianto di Grillo è composto da 25 metri quadri di pannelli e produce al massimo 2 kilowatti, buoni per alimentare il frullatore e poco altro.
A ogni modo le polemiche ambientaliste di Grillo ebbero a salire proprio in quel periodo: «Anche Chicco Testa dovrebbe essere ecologista, e tutto quello che sa dire è che ci vuole più energia quando il 90 per cento di energia di una lampadina va sprecata. Non si tratta di produrre più energia, ma di risparmiarla». Lui intanto cosumava come una discoteca.
Secondo la vulgata internettiana, nel 1986, Grillo fu cacciato per sempre dalla Rai dopo una famosa battuta sui socialisti: «Se in Cina sono tutti socialisti, a chi rubano?». Ma è una sciocchezza, anche se è vero che Craxi si arrabbiò moltissimo e che Pippo Baudo si dissociò in diretta: girarono le scatole persino ad Antonio Ricci. Ma Grillo in realtà deve ancora inscenare la performance migliore di sempre (Sanremo 1989, 22 milioni di spettatori) e in ogni caso tornerà in Rai nel novembre e dicembre 1993: due recital dal teatro delle Vittorie dove attaccherà le speculazioni telefoniche del numero 144 e tirerà in ballo Biagio Agnes, chiamandolo «magnaccia» e procurandogli involontariamente, per strada, una serie di minacce fisiche da parte di un gruppo di grillini ante litteram. Ma soprattutto, come rilevato da Libero il 3 ottobre scorso, Grillo metterò il suo primo bollino elettorale proprio su Silvio Berlusconi: «Sono da mandare via, da mandare via questa gente qua, da votare gli imprenditori, ecco perché sono contento che è venuto fuori Berlusconi: lo voglio andare a votare».
Nella primavera successiva Grillo modifica il suo giudizio e lo spruzza di una venatura appena megalomane: «Candidarmi sarebbe un gioco da ragazzi, prenderei il triplo del Berlusca» dice a Curzio Maltese su Repubblica. «Mi presento in tv e dico: datemi il vostro voto che ci divertiamo, sistemo due o tre cose. Un plebiscito». Già covava.
Infine, a chiudere provvisoriamente questa cronistoria, qualche mistero e qualche numero. Mistero, per esempio, su come sia stato possibile che Beppe Grillo si sia risposato nella chiesa di Sant’Ilario con la benedizione di Don Glauco Salesi (questo recita un’Ansa del 21 dicembre 1996) giacchè era divorziato e così pure lo era la neo-sposa, Parvin Tadjk, iraniana, colei che due anni prima gli aveva dato il figlio Rocco. Ci fu qualche polemicuccia: il mensile Vita Pastorale giunse a chiedersi se il matrimonio potesse definirsi cristiano, viste le battute di cui Grillo aveva infarcito la cerimonia. L’illustre teologo Silvano Birboni si arrabbiò alquanto. Facezie.
Altro mistero, data la vena anticapitalista, è come abbia potuto presenziare a pagatissime convention Fiat e di altre grosse aziende. Nondimeno, nel 2005, resta da capire come abbia potuto scrivere sul suo blog d’avere solo “due case, una a Genova e una in Toscana” (quest’ultima in effetti è a Bibbona, Livorno: circa 380 metri quadri e 5.600 metri quadri di terreno) quando risulta intestato a lui anche l’appartamento di Rimini dove stava con l’ex moglie e senza contare che la Gestimar, la sua società immobiliare gestita dal fratello, possiede i tre citati appartamentini a Marinelledda, una villa a Porto Cervo, due locali più garage a Genova e infine un esercizio commerciale a Caselle, oltrechè un garage in Val d’Aosta. «La barca l’ho venduta» ha scritto ancora Grillo sul suo blog: ma se è quella che diciamo noi, il panfilo «Jao II» di 12 metri, in realtà risulta affondato alla Maddalena il 5 agosto 1997: c’erano a bordo anche Corrado Tedeschi con la sua compagna Corinne. Finì su una secca peraltro segnalatissima e fu salvato dalla barca dei Rusconi, gli editori. Grillo fu indagato per naufragio colposo, procedimento archiviato. Un’altra volta, il 29 maggio 2001, riuscì nell’impresa si insabbiare un gommone nel mar ligure, alla foce del Magra: con lui c’era Gino Paoli, fu una giornata senza fine.
Del condono tombale chiesto e ottenuto per due anni e per due volte dalla citata Gestimar, dal 1997 al 2002, diamo conto velocemente. Fu certo lecito, ma non obbligatorio. Il problema è che era esattamente il genere di condono contro il quale Grillo si era scagliato più volte, e in particolare con una lettera indirizzata al direttore di Repubblica risalente al giugno 2004. Se vorrà ne parlerà Grillo medesimo, tra un vaffanculo e l’altro.
6 commenti presenti
citazione:
Complimenti.
Amo il lavoro di quest’uomo (cioè Facci, anche se tale non sembra): irradia di luce e buon umore ogni giorno in cui in cui ho il piacere di leggere un suo scritto….
Spero che duri.
poco.
Saluti
Scritto da matteo il 1 Apr 2009
citazione:
Il pm, allibito, domandò: “Ma lei ha fatto verifiche sul passato dell’ avv. Lucibello?”. Risposta: “Non so cosa significhi ‘verifica del passato..”.
Complimenti.
Amo il lavoro di quest’uomo (cioè Facci, anche se tale non sembra): irradia di luce e buon umore ogni giorno in cui in cui ho il piacere di leggere un suo scritto….
Spero che duri.
poco.
Saluti
Scritto da matteo il 1 Apr 2009
Matteo, vedo che segue attentamente gli scritti di Facci. Si rilassi con le orazioni di Travaglio.
Scritto da Fabrizio Spinella il 1 Apr 2009
Questa sì che è dovizia di particolari.
Nessuno si deve salvare. Ora che finalmente abbiamo compreso il marcio nascosto dietro ai Grillo, ai Travaglio, ai DiPietro, guarderemo alle istituzioni trattenendo il Vomito. In fondo, tutto il Paese è Paese, no? L’equivalenza è perfetta, nessun eroe sul campo. Solo furbi italiani. Non c’è onestà, dove tutto è disonestà, e dove appunto la disonestà diventa vita normale.
Nessuno si deve salvare. E chi rifiuta questa politica, chi rifiuta questa finta democrazia, chi soffre per i soprusi sociali, istituzionali e costituzionali, anch’esso avrà qualcosa da nascondere, o alla meno peggio avrà un eroe finto-eroe vero-corrotto, bugiardo, maledetto.
Il Marcio va tutelato, modellato, nessuna escrescenza di dignità deve sorgere, solo così continuerà ad essere consuetudine, e nessuno pretenderà cambiamento.
Nessuno si deve salvare.
Mi piacerebbe leggere, dalla penna di Facci, un qualcosina del genere rivolto al Presidente del Consiglio, o perchè no, a Marcellino Dell’Utri.
Sono certo certo avrà a disposizione un’infinita serie di morbose vicende, alcune tutt’ora irrisolte. Pensate, in questo potrebbe fare persino meglio di Travaglio, la verve c’è tutta. E c’è l’arma in più del giocare in casa, ricchezza incommensurabile.
Buon divertimento Filippo.
Wil
Scritto da Wil Nonleggerlo il 1 Apr 2009
Ma se n’è andato??????????
Scritto da Francesco B il 1 Apr 2009
manca l’articolo di oggi (03/04/09) di Facci sulla D’Amico. Poverino, non sa più chi attaccare. D’altronde lui è stracapace di fare lezione la mattina alle massaie. Forse queste, per la loro bontà materna, non hanno il coraggio di mandarlo a quel paese.
Poveretto.
Saluti
Scritto da matteo il 3 Apr 2009