COLPITI DA EQUITALIA: UMANA PIETA’, PERO’…
31 Maggio 2012di Gianluigi De Marchi
Nelle ultime settimane uno dei bersagli preferiti delle critiche al sistema è diventato Equitalia, l’esattore che provvede ad incassare le imposte non pagate dai cittadini per morosità. Le pagine dei giornali sono piene di inchieste sull’esosità della società di riscossione, sulla sua “disumanità”, sulla sua responsabilità nei casi disperati di suicidio di persone in difficoltà economiche.
Premesso che non si può restare indifferenti ai casi drammatici di chi si toglie la vita per disperazione legata ad una difficoltà economica che evidentemente diventa insopportabile, è bene fare qualche riflessione per evitare giudizi esclusivamente emotivi e non razionali.
La prima osservazione è che i “perseguitati” da Equitalia sono, tecnicamente parlando, evasori fiscali. Sono persone che hanno sottratto al Fisco importi piccoli (ad esempio il canone della TV) o grande (ad esempio il versamento dell’IVA o dei contributi sociali dovuti ai dipendenti di un’azienda).
La seconda osservazione è che Equitalia non è “colpevole” degli accertamenti a carico degli evasori. Questi infatti sono persone o imprese che sono state scovate in difetto nei controlli della Guardia di Finanza ed Equitalia è semplicemente l’ente incaricato di incassare quanto accertato e dovuto (quando si arriva a quel livello, ci sono già stati ricorsi e giudizi nelle commissioni locali). Quasi tutte le infrazioni risalgono a 5-6 anni fa, anche oltre; c’è stato tutto il tempo per ricorrere e pagare.
La terza osservazione è che Equitalia non è “colpevole” dei fermi amministrativi o delle ipoteche sui beni dei debitori: applica una legge dello Stato e se non lo facesse violerebbe la legge.
A questo punto si può (e si deve) discutere sulle modalità di riscossione, sulla loro flessibilità, sull’analisi caso per caso, sui limiti minimi per adottare provvedimenti clamorosi come il blocco dell’auto o l’ipoteca di una casa. Una valutazione politica che spetta al parlamento, che dovrebbe adottare provvedimenti più “umani”, fermo restando (ed à bene sottolinearlo ancora una volta) che il debitore è un evasore fiscale. Perché tanta esecrazione nei confronti della categoria degli evasori in genere (sui quali tutti concordano, perché sottraggono risorse allo Stato) e poi tanta commiserazione ogni volta che un singolo fa un gesto eclatante?
Un commento presente
Avere delegato ad una SpA (51% Agenzia delle Entrate, 49% INPS) la funzione di riscossione, agevola il lavoro della struttura burocratica pubblica e rende più efficaci gli interventi di recupero delle somme dovute. Tuttavia ciò disumanizza e spersonalizza l’azione degli organismi pubblici, separando il potere di accertamento dalla responsabilità morale di procedure di esecuzione forzata che colpiscono indiscriminatamente chi non ha conservato la ricevuta del pagamento di un canone televisivo o di una contravvenzione per sosta vietata (piccolo evasore di buona fede), al pari del grande evasore che abbia agito in totale malafede. L’automatismo impedisce usi discrezionali distorti, e questo è un bene. Tuttavia altre volte la discrezionalità è pur ammessa e in misura non marginale, allorquando, ad esempio, di fronte ad un accertamento di 100 dell’Agenzia delle Entrate, si è ammessi a “concordare” la chiusura della pratica per importi (30) molto inferiori all’accertato ma di rapido incasso, con buona pace della Corte dei Conti. Infatti, al riguardo, mi resta la domanda: o le maggiori somme non erano dovute, ed allora l’accertamento originario era stato un abuso strumentale; oppure esse erano dovute, ed allora il concordato priva lo Stato di somme a lui dovute. Ed allora, se la discrezionalità è ammessa – ed in misura molto rilevante – in sede di accertamento, anche in sede di esazione si potrebbe prevedere l’intervento “intelligente” delle persone e non la semplice attivazione di una procedura automatica, la quale, ovviamente, non è dotata di intelligenza, sensibilità, discernimento, equilibrio, capacità di giudizio. Infatti, se è vero che occorre attribuire incisività alla fase dell’accertamento, è altrettanto vero che spesso di questo potere forse da parte della Pubblica Amministrazione si è abusato solo per precostituire una forte base di partenza in vista dell’avvio della successiva trattativa con il contribuente. Ciò è dimostrato dall’enorme divario che spesso esiste fra le somme accertate (cioè di quelle quali si è richiesto il pagamento) e quelle alla fine concordate con il contribuente. Una lezione in tal senso ci viene dal mondo tedesco. Lavoravo a Milano per una Società di un grande gruppo industriale tedesco. Un giorno entra nel mio ufficio un mio dipendente, un dirigente tedesco di nome Klage (Klage in tedesco significa “lamento”) e mi dice: “Disastro, Dottore, abbiamo due miliardi di utile!”. Ed io: “Bitte Herr Klage, keine Klage, per favore Signor Klage, nessun lamento. Infatti, se la nostra previsione era zero, abbiamo migliorato e non di poco. Di cosa si preoccupa?”. “No dottore, mi rispose, Lei è nuovo dell’ambiente e non conosce i Tedeschi: questo risultato vuol dire innanzi tutto che non siamo stati in grado di formulare previsioni attendibili. Ci dobbiamo aspettare una critica, non una lode”. Che dire allora di un Ufficio che prevede e dichiara di volere incassare 100 e poi si accontenta di 30?
Scritto da Riccardo Lucatti il 1 Giu 2012