CULTUR@. RENE’ MAGRITTE, “l’arte del sogno”
21 Novembre 2008di Nicoletta Salata (*)
Ricorrono oggi 110 anni dalla nascita del pittore belga René Magritte, 21/11/1898-15/8/1967 e apre domani a Milano a Palazzo Reale la mostra “Magritte-Il mistero della natura“.
Potrei scrivere davvero tante impressioni su questo pittore che ho sempre amato, e che ho anche citato nel mio recente scritto. Ma mi limiterò ad annotare, istintivamente, i primi pensieri che il cuore mi suggerisce.
Ricordo piacevolmente l’emozione che mi accompagnava in direzione Peggy Guggenheim Collection sul Canal Grande a Venezia quando tanti tanti anni fa mi recai per vedere, tra tutti, L’empire des lumières, un quadro del 1954 che, mentre studiavo cultura francese, mi aveva sempre colpita profondamente.
Il contrasto tra il cielo azzurro in cui è giorno e il paesaggio sottostante (costituito da alcuni alberi e una casa) in cui è invece notte e vi è un romantico lampione che illumina la penombra riflettendosi altresì nell’acqua prospiciente, mi affascinò al primo sguardo. Probabilmente riconobbi in quella rappresentazione una possibile visione poetica dell’esistenza, l’esigenza di ricercare o reinventare (non trovandolo nel reale) uno tra i significati dell’anima e dell’inconscio.
Percepii quella, per me condivisibile, volontà di rappresentare il contrasto di due elementi apparentemente non conciliabili che in una dimensione onirica riescono però a coesistere creando un effetto sorprendente e dirompente, ma al contempo possibile e armonioso.
Magritte è uno di quei pittori che maggiormente ha suscitato non solo la mia ammirazione ma direi un sentimento più complesso, intricato, istintivo e indefinibile.
Nel senso che la sua pittura, così onirica, densa di ragionata inventiva, improbabile e visionaria ha la capacità di suscitare altrettante emozioni imponderabili e non codificate. Direi molto più personali e interiori, profondamente inconsce, che l’osservazione di un quadro considerato più convenzionale (raffigurante che so un paesaggio o un vaso di fiori rappresentati in modo conforme alla realtà), certamente non riesce a stimolare.
La sua interpretazione e reinvenzione, con immagini che ogni volta sorprendono e forniscono visioni insolite ed alternative, spingono l’osservatore, mosso da alterazioni sensoriali, ad una introspezione in sé stesso.
Il cielo diviene uno spazio in cui non ci sono solo le nuvole ma scorrono in sospensione anche castelli arroccati su grossi macigni, sfere metalliche incredibilmente leggere, frammenti di foglie scomposte, colombe simboliche che si colorano di nuvole in un cielo terso o d’azzurro in uno plumbeo.
Il secondo quadro che voglio citare, e che per altri e diversi aspetti, tutt’ora m’incatena è “Les amants” del 1928.
Esistono due versioni di questo quadro, direi che la differenza essenziale è che nel primo i due protagonisti sono rivolti verso lo spettatore, nel secondo sono l’uno di fronte all’altro intenti in un più immaginario che tangibile bacio.
È questa seconda versione che da sempre ha carpito i miei sensi e la mia immaginazione.
Si ritiene che il tema del velo bianco sul volto sia un ricordo della madre che fu trovata (quando Magritte aveva quattordici anni) suicida in un fiume con il viso coperto dalla camicia da notte.
Quando vidi per la prima volta questo dipinto (anche questo tanti tanti anni fa!) volli scorgere in questa immagine un significato più esteso, perfino romantico, quello che nonostante tutto ancora oggi, riguardandolo, ho la sensazione di avvertire.
E cioè che quando due persone si amano davvero accade che si riconoscono, si sentono, e possono scambiarsi un gesto d’amore anche attraverso un ostacolo.
Contemporaneamente questo coprirsi sembra celare che ciascuno dei due nasconde qualcosa all’altro, ma anche a se stesso e il bacio, quindi l’amore, può costituire un possibile svelamento dei propri istinti più veri, del sentire, del trasmettere, del conoscere.
E che in un apparente distacco e non visibilità materiale è possibile cogliere lo spirito inconscio, forse quello più vero.
Mi piace credere che tutto questo non si discosti dal pensiero più ampio che Magritte ha profuso nei suoi quadri, cioè la necessità di indagare dentro noi stessi anche attraverso il sogno, la difficoltà del comprendersi, lo stupore dell’insolito, e la forza sognatrice ed inesauribile della poesia.
(*) Pubblicato oggi nel blog di Nicoletta
Un commento presente
Di Magritte, i critici stroncarono gli «après Renoir». La sua “precarietà”, in anni di guerra. O forse, quella pittura d’imitazione, il suo «rifugio»?
Che ne pensa, gentile Nicoletta?
Scritto da Fabrizio Spinella il 25 Nov 2008