DA “IL FATTO” UN VERO MISFATTO
24 Febbraio 2010Marco Travaglio non è il “Fatto Quotidiano”, ma di fatto ne rappresenta lo spirito e l’intima essenza. Ho compreso la partecipazione con la quale ha scritto al suo amico Michele Santoro, al quale ha chiesto di tutelarne il buon nome, l’immagine e la reputazione. La reputazione di un uomo va oltre la percezione comune. Va oltre la sua semplice rappresentazione. Non è solamente un gioco di specchi. Va oltre le maschere di Majakowskj.
È qualche cosa che ha a che fare con la propria intimità, la propria famiglia, e con l’idea che ognuno ha legittimamente di se stesso. Ma allora a chi sta a cuore la propria reputazione ha il dovere e l’onere di difendere la reputazione altrui. Solo così è legittimato a chiedere ciò che dagli altri pretende.
Venerdì 19 febbraio 2010, a pagina 11 de Il Fatto Quotidiano a firma di Alfredo Faieta , è andato in scena un vero misfatto. Un articolo nel quale si definiva Il Clandestino “introvabile”, nella “oggettiva difficoltà di trovarlo in edicola”.
E con maldestra cattiveria si definiva il Clandestino un mero strumento per accedere ai finanziamenti pubblici. Quando questo quotidiano in realtà, nella più assoluta trasparenza, ha diritto agli stessi rimborsi a cui ha diritto la stragrande maggioranza dei quotidiani italiani.
Soprattutto in quell’articolo vi si definiva in modo diffamante non solo la famiglia Caso che di questo giornale ne è l’ispiratrice, ma tutta la redazione.
Io non sono l’editore, non sono un giornalista, ma ho seguito mio fratello Ambrogio in questo appassionante progetto che rappresenta un’oggettiva novità nel panorama della stampa italiana.
Un vero think‐tank che mette insieme i sondaggi politici, le ricerche, i dati di ascolto, la politica, la comunicazione il costume, in una chiave di elaborazione approfondimento e analisi.
Un quotidiano che non ha la mission di espandere il consenso di nessun partito e nessun uomo politico, ma che dà voce a tutti i partiti e a tutti gli uomini politici. Negare questo valore, che può essere anche discusso, è un atto di infamità.
Come infamità è scrivere che il giornale è introvabile, visto che il quotidiano Il Clandestino viene distribuito in oltre 80 capoluoghi di provincia. Chiunque stronca una nuova iniziativa editoriale, esprimendo giudizi così tranchant, ha il dovere di chiedere, informarsi e verificare. Come ho fatto io.
Uno dei princìpi editoriali voluti dalla direzione del giornale è quello di legittimare il lavoro di questo quotidiano non sulla pelle altrui e non su attacchi e delegittimazioni. E anche adesso nell’affidare a me la risposta, non si cerca di ricavarne un reddito editoriale, non vogliamo cavalcare la polemica, ma semplicemente acquisire e fare acquisire la verità.
D’altro canto non chiediamo la patente di esistenza e legittimazione a nessuno perché il tempo è galantuomo e solo il tempo ci dirà se il Clandestino ha diritto di cittadinanza nel mondo dell’editoria.
Se qualcuno si prendesse la briga di verificare le parole su cui io ho preso impegno, sappia che in piazza Barberini le porte non hanno serrature, cosa che di “FATTO” non tutti possono permettersi.
Mi auguro, quindi, che Travaglio, il direttore Padellaro e il mio amico Gomez si prendano cura della nostra reputazione, così come pretendono che venga tutelata la loro.