FISCAL COMPACT? MA PARLIAMO ITALIANO!
10 Giugno 2014di Gianluigi De Marchi
Da mesi tutti i politici si stanno scannando discutendo di fiscal compact, discettando su questo termine come se fossimo all’Università di Harvard o di Cambridge e fossimo tutti esperti di finanza e d’inglese.
Pessima abitudine quella di usare parole incomprensibili alla gente comune; un trucco usato da tanti politici ignoranti per fare un “figurone” e mettere in soggezione gli altri.
Ma siccome stiamo in Italia, a Torino, noi preferiamo parlare la dolce lingua di Dante; vediamo allora di spiegare di cosa si tratta, visto che tocca tutti noi.
Fiscal compact è un Patto di bilancio europeo, un accordo entrato in vigore nel gennaio del 2013 e sottoscritto da tutti i paesi europei tranne la Gran Bretagna (guarda caso…). L’accordo prevede regole ferree che riguardano i bilanci dei singoli Stati aderenti. In particolare il patto prevede non solo che non si possa superare il famoso “tetto” del 3% di deficit sul PIL (la ricchezza prodotta da un paese in un anno), ma addirittura di chiudere i conti in pareggio (quindi niente deficit, niente spese che non siano correlate ad un’entrata di pari importo). Insomma, se ci sono i soldi si fanno investimenti, se non ci sono si stanno a guardare gli altri che investono, producono, aumentano la ricchezza.
Inoltre (e questo è per noi ancora peggiore) si fissa un periodo di 20 anni (sembra tanto, ma è un battito di ciglia…) per ridurre il debito complessivo in una percentuale inferiore al 60% del PIL; sapendo che l’Italia è oggi oltre il 130% è evidente che si tratterà di un ventennio di “lacrime e sangue”.
Certo, l’obiettivo finale è bello ed utile (armonizzare tutti gli Stati su modelli virtuosi), ma i modi per ottenerlo sono drastici e comporteranno un lungo periodo di sacrifici.
Forse ne vale la pena, ma per favore non venite più a parlarci di fiscal compact ma spiegateci chiaramente come stanno le cose e cosa dobbiamo fare!