Il pensiero strategico non c’è più. Prevale lo sguardo corto… E allora?
21 Gennaio 2010dal blog di Paolo Borrello
In Europa, e anche in Italia, è in declino il pensiero strategico? Per rispondere a questa domanda che può apparire complessa, si deve comprendere in primo luogo che cosa si intende per pensiero strategico.
Per pensiero strategico io intendo la capacità delle classi dirigenti, ma non solo, e non solamente del ceto politico, di avere una visione generale, di promuovere una progettualità di elevato profilo, di voler perseguire obiettivi che non possono realizzarsi in un futuro non prossimo, di essere in grado di salvaguardare gli interessi collettivi, senza appiattirsi esclusivamente sulla gestione dell’esistente e sulla tutela degli interessi personali. Saper progettare il futuro? Anche.
Ho avvertito la necessità di queste riflessioni, che spero interessino almeno alcuni di voi, leggendo, a metà dicembre dell’anno passato, un articolo di Carlo Carboni, pubblicato da “Il Sole 24 ore”, di cui ora riporto alcune parti:
“Quello che resta oggi del pensiero strategico è in gran parte dovuto alle élite economiche e finanziarie nordamericane o si tratta, in realtà, di frammenti di pensiero ‘laterale’, creativo. In Europa, il pensiero strategico è per lo più scambiato, in senso riduttivo, con un’interpretazione intellettuale retrospettiva, incapace, se non raramente, di esprimere intenti, culture e tempi realmente innovativi.
Più che di un ipotetico declino del pensiero strategico globale o di un’improbabile eclissi della leadership globale statunitense, noi europei, e in particolare noi italiani, dovremmo occuparci di più dell’attuale palpabile caduta del nostro pensiero strategico che si accompagna al declino conosciuto negli ultimi 30 anni dalle grandi capitali europee…
In Italia, solo il 14% della popolazione ritiene che una visione strategica sia un tratto di rilievo delle élite italiane che, non a caso, sono percepite poco ‘traenti’ e poco innovative (ad eccezione di imprenditori, professionisti e ricercatori) e non va molto meglio nel resto dei paesi europei.
Le cause del declino del pensiero strategico sono molto complesse e andrebbero correlate con una fenomenologia culturale e strutturale di lungo periodo: l’astinenza dalle grandi visioni ideologiche che dura almeno da trent’anni; i nuovi ritmi di vita – schiacciati sul presente – imposti dalle tecnologie interconnettive del ‘tempo reale’; una classe politica sempre più trasfigurata dalla società dello spettacolo e dei desideri; l’espansione delle democrazie di mercato…
In Italia aveva pensiero strategico De Gasperi, e anche Togliatti e Nenni lo avevano. Lo avevano il repubblicano La Malfa e il liberale Panunzio, ma ne difettano le attuali fondazioni politiche, che da cenacolo di competenze sono spesso ridotte a segreterie di leader politici.
Nella politica italiana sono diventati ossessivi i tatticismi e gli equilibrismi che si ripropongono anche nei grandi assetti bancari-finanziari ed economici.
Lo sguardo corto sembra prevalere sul pensiero strategico. In Italia come in Europa, l’eclissi di un pensiero strategico si accompagna all’incapacità delle classi dirigenti nazionali di pensare e agire nel proprio interesse e, al tempo stesso, per fini universalistici.
Tuttavia, limitarsi alla gestione dell’esistente, senza alzare mai lo sguardo, equivale a gestire il proprio declino senza accorgersene”.
Queste considerazioni formulate da Carboni mi sembrano condivisibili.
Lo sguardo corto, una bella immagine da lui utilizzata, non mi sembra però che riguardi solo l’Europa, ma l’intero Pianeta. Se si pensa al sostanziale fallimento della conferenza di Copenhagen sull’ambiente, si ha la dimostrazione più evidente di quanto ho appena sostenuto. E in teoria, ormai, che nel breve-medio periodo il nostro Mondo corra dei grossi rischi di natura ambientale lo riconoscono in molti. Eppure…Eppure non si fa niente ma non fanno niente non solo i Paesi europei ma anche quelli extraeuropei, i più piccoli come i più grandi.
E poi lo sguardo corto interessa solo le classi dirigenti? Il pensiero strategico non dovrebbe essere praticato anche da coloro che non fanno parte di quelle classi. O meglio l’appiattimento esclusivo sulla tutela dell’interesse personale non riguarda un po’ tutti. E un po’ tutti non dovremmo cambiare la nostra ottica, occuparci in misura maggiore dell’interesse collettivo e preoccuparci non solo del nostro futuro prossimo, non solamente dell’esistente?
Queste domande le considerate superflue o comunque non molto importanti, sono solo il frutto di un pensiero, il mio, non so se strategico, forse un po’ contorto, che mi è entrato nella mente a tarda ora di un freddo giorno di fine gennaio?
Che ne pensate di tutto ciò e del pensiero strategico?
Ammesso che sia utile ed opportuno pensare qualcosa del pensiero strategico…
Che strano post…
Un commento presente
Bellissimo e stimolante post. La crisi del pensiero strategico ( o, se vogliamo, del pensiero lungimirante ) si radica nel contesto di frenesia anarchica che connota le moderne società industriali. Le organizzazioni umane complesse devono gestire una struttura multiforme, sfuggente, esageratamente ramificata e caotica, manifestando un difetto di visione lunga perchè troppo assorbite dal governo ( spesso malgoverno ) del presente. Così facendo si sottrae il futuro alla libera determinazione e lo si costruisce attraverso le categoria dell'”aleatorio”, della ” forza maggiore”, del “caso”. Non ci si accorge, o si ignora colpevolmente, quanto i viventi siano obbligati nei riguardi dei non ancora nati, che meritano tutto il nostro sforzo positivo nella conduzione della storia.
Approdati con Weber al ” disincantamento del mondo “,per il credente valga quanto di recente detto dal Santo Padre :”Il futuro è nelle mani di Dio, non in quelle di maghi ed economisti”.
f.g
Scritto da Francesco il 21 Gen 2010