LE BANCHE VENDONO I GIOIELLI DI FAMIGLIA
8 Gennaio 2009di Gianluigi De Marchi
Nel giro di poche settimane le due maggiori banche italiane hanno venduto i “gioielli di famiglia” per fare cassa.
Unicredit ha ceduto duecento palazzi (fra i quali il prestigioso palazzo di Piazza Cordusio a Milano in cui ha la propria sede!) ad una società immobiliare, la Fimit di Massimo Caputi. Valore della transazione circa 2 miliardi di euro, che l’acquirente dovrà cercare di raccogliere collocando sul mercato quote di un fondo immobiliare. Unicredit non dovrà cercarsi altre sedi, perché prenderà n affitto i locali venduti e naturalmente se li ricomprerà non appena sarà passata la tempesta sul mercato finanziario.
Intesa San Paolo ha ceduto 285 immobili per circa 850 milioni di euro alla Fimit (toh, chi si rivede…) e, non contenta dell’operazione, ha anche cartolarizzato 13 miliardi di mutui (sono circa 190.000 contratti!).
In entrambi i casi le operazioni sono state dettate dalla necessità di “fare cassa”, cioè di raccogliere denaro fresco per cifre ingenti e sistemare i conti di fine anno che, malgrado le tante assicurazioni verbali profuse a piene mani in questi mesi, sono decisamente brutte.
La maxi cartolarizzazione della banca ambro-torinese è un colpo di bacchetta magica, un vero esempio della finanza “creativa”. Il compratore delle obbligazioni rappresentative dei mutui è infatti una sconosciutissima società che si chiama Adriano Finance2, che non ha messo mano al portafoglio, perché i soldi per comprare le obbligazioni glieli ha gentilmente dati Intesa San Paolo stessa che li ha immediatamente ricomprate. Passera e Salza sono matti? No, hanno semplicemente messo fieno in cascina per cautelarsi se il futuro fosse nero. I mutui cartolarizzati, infatti, possono diventare moneta sonante andando alla BCE per avere prestiti garantiti da obbligazioni. Oplà, doppio salto con avvitamento e la cassa esangue delle banche può riprendere colore senza chiedere l’elemosina al Tesoro (disposto a finanziare tutte le banche, ma ponendo condizioni che i “signori del denaro” non vogliono evidentemente accettare…).
E così i due maggiori simboli della “grandeur” del sistema bancario italiano si trovano in condizioni non diverse da quelle di molte famiglie, costrette a portare al banco pegni anelli, braccialetti, collane per incassare i contanti di cui hanno bisogno per tirare avanti. Tra qualche anno, ne siamo sicuri, i gioielli saranno ricomprati, ma nel frattempo i tempi sono duri anche per Profumo e Passera che hanno impostato la loro attività solo sulla crescita dimensionale delle loro banche senza fare attenzione ai costi ed ai rischi (per non parlare delle spericolate operazioni finanziarie legate ai derivati, ai mutui subprime e, notizia fresca fresca, ai fondi farlocchi dello pseudo finanziere Madoff, il Giuffré d’America).
In questo quadro le piccole banche vivono un momento magico: il loro comportamento considerato un po’ sbiadito, un po’ “rétro”, un po’ fuori dei tempi si è rivelato quello giusto: hanno semplicemente “fatto la banca” senza lanciarsi in avventure rischiose ed oggi possono tranquillamente andare in giro sfoggiando loro gioielli. Meno male che oltre a Profumo e Passera in Italia ci sono tanti Brambilla, Rebaudengo, Parodi o Cacace che gestiscono banche popolari o casse rurali senza tanti grilli in testa…