Nucleare: un’altra tappa dell’invasione francese
2 Marzo 2009di Alessandro Iacuelli per altrenotizie.org
Berlusconi non ha dubbi e formalizza il ritorno del nucleare in Italia, illustrando l’accordo di cooperazione energetica siglato con il presidente francese Nicolas Sarkozy. E l’inquilino dell’Eliseo immediatamente conferma, offrendo all’Italia “collaborazione piena ed illimitata”. E’ il primo passo di “una politica nucleare comune tra Italia e Francia in una prospettiva paritetica e di lungo periodo”, sottolinea Berlusconi, spiegando che l’Italia collaborerà alla realizzazione di altre centrali nucleari in Francia e in altri Paesi e costruirà centrali nucleari anche sul proprio territorio. Centrali che, come raccontato più volte su queste pagine, l’Italia non è in grado di costruire da sola. Infatti Berlusconi afferma anche che la Francia “ci ha messo a disposizione il suo know-how”, un insieme di conoscenze che l’Italia ha perso dopo il 1987 e che, anche per il nucleare, la rende fatalmente dipendente dall’estero.
Poi, come da 15 anni ci ha abituati il re italiano della pubblicità e della comunicazione televisiva, inizia l’ennesimo spot demagogico, basato su slogan che capovolgono la realtà dei fatti. Tanto per cominciare, Berlusconi ringrazia il presidente francese, perché “ora la Francia con grande generosità si apre a noi”. E’ ovvio che non si tratta di generosità: le aziende francesi di costruzioni nucleari sono in grande crisi economica e finanziaria, crisi originata dal fatto che se si escludono Finlandia e Bulgaria, nessun Paese al mondo intende più costruire centrali per generare elettricità con una tecnologia che è ormai al capolinea e che è stata già ampiamente bocciata dal mercato. I costruttori nucleari francesi sono quindi rimasti imprigionati nel loro stesso mercato interno, ma in Francia non si possono certo costruire centrali nucleari come si costruiscono forbici o scope, così l’Italia diventa l’improvviso spiraglio per ammortizzare la propria crisi. A nostre spese.
Il neocolonialismo francese ottiene nuovi spazi nella nostra penisola. Dopo aver riempito il territorio nazionale di supermercati, aver acquisito catene di distribuzione italiane, dopo aver acquistato a suon di milioni di euro aziende aerospaziali italiane e gruppi assicurativi o bancari, adesso si prepara ad invadere il nostro mercato anche con l’energia nucleare. Qualcuno obietta che già da anni l’Italia importa energia elettrica dalla Francia, ma è un’obiezione da sempre in malafede: l’importazione è iniziata con la privatizzazione del mercato dell’energia in Italia, e l’importazione dalla Francia era vantaggiosa proprio per le tariffe francesi, che essendo statali erano, durante la notte, inferiori a quelle delle centrali (private) italiane. Così gli italiani preferirono spegnere di notte le proprie centrali ed importare energia da Francia e Svizzera. L’assurdità di questa pratica, volta solo al risparmio economico, salì agli onori delle cronache con il black out nazionale del settembre 2003.
Berlusconi non si ferma a questo. La demagogia continua quando dichiara che i francesi con il nucleare “producono l’80% del loro fabbisogno energetico consentendo ai consumatori d’oltralpe di pagare le bollette la metà di quanto pagano gli italiani”. I francesi (ancora per poco) pagano la metà perché l’energia elettrica è ancora un servizio pubblico e non privatizzato come da noi, pertanto le tariffe elettriche francesi non sono quelle di mercato, alle quali siamo soggetti noi italiani, ma tariffe tipiche di un servizio statale. Come era da noi 20 anni fa. La pacchia finirà anche per i francesi, con la privatizzazione di EDF.
Intanto, da noi in Italia la tariffazione è già a valori di mercato e l’energia prodotta per via nucleare costa molto di più di quella che usiamo attualmente. Berlusconi, e con lui sia i francesi, sia la nostra Confindustria, continuano a parlare di un costo di produzione di 3 centesimi di dollaro per chilowattora, dimenticando appositamente di dire che questi 3 centesimi sono calcolati per un impianto che ha già ammortizzato il costo di costruzione e su un costo dell’uranio che è quello dei vecchi contratti, che scadranno nel 2012. Uno studio che ha cercato di fare una stima dei costi reali è stato compiuto dal Keystone Center, ed ha valutato un costo pari a 8-9 centesimi di dollaro per chilowattora, cioè un costo triplo rispetto a quello che la lobby del nucleare vuol far credere ai cittadini.
Secondo i piani del premier saranno quattro le centrali nucleari previste in Italia. La prima dovrebbe essere pronta nel 2020. A questo punto è bene precisare che nel 2020 il costo dell’uranio, molto più raro e prezioso del petrolio, sarà secondo le stime triplicato, e ci si aspetta addirittura un suo esaurimento entro il 2040-2050. Pertanto stiamo per spendere soldi per costruire centrali che nasceranno già obsolete, dopo aver speso qualche miliardo di euro di soldi pubblici.
Gli impianti dovranno essere di tecnologia EPR, una tecnologia che richiede zone poco sismiche o molto stabili, vicino a grandi bacini d’acqua, ma senza pericolo d’inondazioni, possibilmente lontano da luoghi densamente popolati. In pratica, luoghi che in Italia non ci sono. In base a questi criteri, il quotidiano La Stampa ha interpellato alcuni esperti che hanno individuato alcune zone adatte. Così sono rispuntati i siti già individuati negli anni ’70. Sono stati fatti i nomi di Caorso, nel Piacentino, e Trino Vercellese (Vercelli), perché collocati sulla Pianura Padana, caratterizzata da scarsa sismicità e disponibilità di acqua di fiume. Poi, Montalto di Castro, in provincia di Viterbo, adatto per scarsa sismicità e acqua di mare. Se si considera invece la lontananza da grandi centri abitati e la stabilità del terreno si possono vagliare la Sardegna, la costa rivolta verso l’Africa della Sicilia (che si è candidata), la Basilicata ed alcune aree della Puglia. Il Veneto, prosegue La Stampa, si è fatto avanti proponendo Porto Tolle (Rovigo). A questi, il quotidiano Il Giornale ha aggiunto Monfalcone (Gorizia), Chioggia (Venezia), Ravenna, Termoli (Campobasso), Mola (Bari), Scanzano Jonico (Matera), Palma (Agrigento) e Oristano. Ma la maggior parte di questi luoghi sono già occupati da impianti energetici tradizionali.
Secondo Greenpeace l’accordo firmato tra Italia e Francia sul nucleare è a tutto vantaggio di Sarkozy, che sta cercando di tenere in piedi l’industria nucleare francese, ma non offre all’Italia nessuna garanzia di maggiore indipendenza energetica ed è anzi contro gli obiettivi europei di breve termine; infatti, il governo italiano, lo stesso governo che firma accordi-regalo con la Francia, ha anche appena firmato accordi europei vincolanti per giungere a una quota del 35% di energia elettrica da fonti rinnovabili al 2020.
Altri Paesi, a cominciare da Stati Uniti e Giappone, hanno già capito che il nucleare non ha risolto nessuno dei suoi stessi problemi, da quello delle scorie (non esiste un deposito di scorie definitivo su tutto il pianeta), alla sicurezza intrinseca (gli incidenti sono decuplicati dagli anni ’60 ad oggi) alla proliferazione nucleare (la filiera produttiva nucleare civile è la stessa di quella militare). Gli USA l’hanno capito, e non costruiscono altre centrali nucleari, attendendo che semplicemente vadano in dismissione quelle esistenti. In tal modo usciranno dal nucleare nell’arco di qualche decennio. L’hanno capito in Gran Bretagna come in Spagna. Ancora una volta, è l’Italia ad essere in controtendenza.
Il nucleare non risolve neanche il problema delle emissioni in atmosfera: anche raddoppiando l’attuale numero di reattori, cosa che accelererebbe l’esaurimento delle risorse accertate di Uranio che, ai livelli attuali, non superano i cinquant’anni, il contributo del nucleare alla riduzione delle emissioni sarebbe marginale, non oltre il cinque per cento. Con gli stessi investimenti in maggiore efficienza energetica negli usi finali l’effetto di riduzione delle emissioni sarebbe fino a sette volte superiore. “La lobby nucleare”, spiega Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace, “cerca di evitare una crisi legata alla marginalizzazione di questa tecnologia che, nei mercati liberalizzati, come in USA, è sostanzialmente ferma da 30 anni. Gli unici investimenti effettuati, infatti hanno riguardato il ripotenziamento e la manutenzione dei vecchi impianti”.
In Italia raggiungiamo poi l’assurdo con l’accordo firmato da Berlusconi e Sarkozy. Per la tecnologia francese EPR, esistono solo due cantieri: uno in Finlandia e uno in Francia, nessun impianto ancora funziona. In Finlandia i costi effettivi a metà della costruzione hanno già superato del 50 per cento il budget. L’autorità di sicurezza nucleare finlandese ha riscontrato 2100 non conformità nel corso della costruzione. Il Presidente Sarkozy, in assenza di nuovi ordinativi, ha annunciato che la Francia, cioè lo Stato, chiederà a AREVA – società quasi interamente pubblica – di costruire un secondo reattore EPR in Francia. Un’implicita dimostrazione che nucleare e mercato non sono compatibili: a ordinare reattori dovrebbe essere un’azienda non lo Stato. Ma si tratta di un settore che il mercato ha già bocciato. E quando qualcosa non funziona, non va bene, è retrograda e non porta miglioramenti, per miracolo diventa una grande opera nell’Italia di Berlusconi.
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