Paolo De Lucia, La via verticale. Dalla dissoluzione dell’umanità al ritorno ai valori
16 Marzo 2012di MICHELE DI FEBO
Mentalità corrente impone di cercare le cause della decadenza, della crisi all’esterno, come se in qualche modo si cercasse di alleggerire l’uomo del fardello delle responsabilità. Ad essere colpevole è sempre “il sistema”, pur avendo chiara consapevolezza che siamo noi a costituirlo, definendone l’organico fondamento. Se l’uomo contemporaneo vive in totale anonimato, circondato da gingilli tecnologici ( che invece di acuirne lo spirito critico ne limitano grossolanamente la capacità intellettuale), impegnato a produrre, è opportuno chiedersi perché. Solitamente al baratro in cui sprofonda il presente è proposta, come contraltare, l’immagine dell’uomo antico, dipinto così come la tradizione ce lo ha consegnato: in armonia con la natura, in grado di cogliere l’essenza della vita alla luce di una profonda esperienza speculativa, dotato di uno sguardo teoretico capace di trasfigurare la realtà materiale, grazie al divino “intuito”, segno della primordiale esperienza mistica. I presupposti per ogni nuovo “Umanesimo” scemano all’ombra dell’indifferenza individualistica: riscoprire il valore della dignità come fondamento significherebbe scardinare il prototipo dell’ “homo faber”, focalizzato verso l’oggetto che produce, riportando alla luce il valore della socialità come comunione e superando l’umano delirio di onnipotenza, grazie ad un sano percorso dinamico-ascensionale condotto secondo il binomio ermeneutico agostiniano “Crede ut intelligas, intellige ut credas”.
Di queste rotte tipiche della tradizione Occidentale, lavoro-famiglia-patria-religione ne scrive in maniera esaustiva Paolo De Lucia, docente di filosofia a Genova, la cui “Via Verticale” è arrivata alla sesta ristampa. L’autore fa intendere che la perdita di senso ( e di valore) di questi quattro pilastri hanno accelerato il processo che conduce la contemporaneità verso una società sempre più “liquida”, dove la regola si confonde con l’eccezione, la persona in tutta la sua complessità si riduce a tipo, a “maschera”(dal greco prosopon= persona), la divinizzazione dei consumi porta ad invertire ogni sistema valoriale, per cui la religione non è più domanda di senso quanto peso millenario.
La vocazione all’Elevazione nella sua totalità, allo sguardo disincantato dell’Idea in sé, meta ambita dal filosofo dell’antichità e dal vero cristiano, è stata progressivamente soppiantata dall’assolutizzazione di aspetti meno edificanti della condotta umana (droga, malavita, denaro, apparenza), respingendo l’uomo in un profondo stato di minorità, senza spessore e privo della ricerca quel quid che lo distingue tanto marcatamente dall’animale. Ad acuire, ulteriormente, la piaga della funesta “modernità” è indubbiamente l’eclissi del lavoro, il cui immediato corollario consiste, proprio, nella perdita di fiducia verso il futuro, riflette De Lucia, visto non tanto come edificazione del proprio progetto esistenziale quanto come minaccia incombente. La parcellizzazione dell’attuale offerta lavorativa (lavori part time o contratti a tempo determinato per periodi sempre più brevi) induce migliaia di persone, perlopiù giovani, a vagare nell’incertezza per approdare (seppure!), dopo una lunga ricerca, a forme di occupazione banali e logoranti (si pensi all’esercito di telefonisti di un call center!!!). Ad un “idea di lavoro” che si plasma nel tentativo di imporre una forma ad una materia già presistente, per cui la realtà non viene mai vista come “stasi” ma sempre in progress secondo i bisogni naturali dell’essere umano, se ne contrappone oggi una visione totalmente ribaltata: a dominare non è la creatività quanto la ripetitività, la banalità dell’atto ripetuto in serie, vuoto, privo di uno slancio personale, che finisce per collocare l’individuo in un mondo ovattato, senza colori, dove fa da padrone un contenuto acquisito una volta per tutte. L’autore scrive poi della famiglia: anch’essa ha finito per cambiare volto. Il fuoco domestico, antica espressione del naturale senso di socievolezza che contraddistingue il genere umano, da millenni si è identificato nell’autorità dell’anziano, del pater familias, il quale, da sempre si è fatto carico della responsabilità più grande: riuscire ad indirizzare lo sguardo dei nuovi nati verso i limpidi orizzonti illuminati dalla luce della Tradizione. E’ la sinergia operante tra i vari gruppi umani a tessere i legami della società , a inserirla in una dimensione organica e compiuta di un “sistema mondo”. E la tessera fondante di questo mosaico globale è proprio la famiglia. Il suo sfaldarsi negli ultimi anni è stato causa di una progressiva inversione di rotta; il divorzio, l’aborto e la nuove forme di convivenza ne hanno minato le radici. L’impossibilità di definire oggi un modello di famiglia causa il deteriorarsi della società, vista come sistema di relazioni interdipendenti, provocando così l’eliminazione della dimensione comunitaria a scapito di “un semplice agglomerato di individui”, animati solamente dall’individualismo e dalla smania del successo facile, profondamente convinti del dettato di Hobbes secondo cui “Homo homini lupus”.
L’autore prosegue poi scrivendo della patria. Dilaniata da ogni parte, è finita per essere mera roccaforte di tradizionalisti bacchettoni, una vuota etichetta priva di senso, un luogo comune tanto frequentato, ma da pochi sentito nella sua pienezza. L’idea di dovere, di sacrificio di sé per il bisogno della comunità è stata profondamente scardinata dal demone della facilità, dall’ imitazione di modelli insani, quali quelli propinati dal piccolo schermo, dalla radicata volontà di voler vivere in un mondo spazzatura, il cui unico denominatore è d’importazione d’oltre oceano, american way of life. Non è più possibile parlare di Patria come di una comunità di individui che condividono una Tradizione valoriale, una Storia combattuta e sofferta, se l’esistenza individuale è concepita come mero apparire, se la famiglia diventa un parcheggio dove semplicemente si con-vive, se l’uomo depresso si realizza nella pubblicità e nella moda, anziché nello sguardo intenso al Cielo, che lo inserisce nella Rappresentazione Trinitaria e gli consente di sentirsene parte integrante nella presenza del Figlio.
Alla luce di un’atmosfera tanto desolante l’Autore rivolge un appello “ai confidanti” che può risultare incoraggiante: l’invito a non disperare dinanzi all’indifferenza, a mantenere la ferma volontà di ritrovare il “pensiero” grazie al quale riappropriarsi, tramite la sua autoposizione e conseguente autosvolgimento, di una visione prettamente teoretica dell’esistenza, totalmente disinteressata e intessuta di puro Amore della creatura verso il suo Creatore. La restituzione della Teoresi a sé stessa è l’unica via che conduce l’uomo ad un nuovo Percorso, ad una nuova Sfida: tentare di volgere lo Sguardo umano, fallibile e imperfetto, verso Dio, eterno e imperfetto, seguendo appunto “La Via Verticale”. Un cammino d’ascensione in grado di ricondurre l’Uomo all’Assoluto, suo ultimo Fine, con la speranza di avvicinare il Paradiso alla Terra, di perdersi in una impeccabile armonia con il tutto, di sentirsi permeati da un viscerale ottimismo metafisico che si traduce in una “perceptio totius universi”, in cui l’uomo, prendendo a prestito le parole del grande Ungaretti, finisce per sentirsi realizzato come “fragile fibra dell’universo”, rendendo così possibile l’identificazione nel Logos universale.
Paolo De Lucia, La via verticale. Dalla dissoluzione dell’umanità al ritorno ai valori (Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche, 474), VI ed., Aracne, Roma 2010, pp. 180, euro 12,00.
Paolo De Lucia (Giulianova [TE], 1967) ha studiato Filosofia teoretica all’Università Cattolica di Milano con Adriano Bausola, e Storia della filosofia all’Università di Genova con Luciano Malusa e Pier Paolo Ottonello. Nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Ateneo genovese, ove è ricercatore dal 2005, insegna Introduzione alla storia della filosofia e Storia della filosofia moderna. Nei suoi scritti, culminanti nei volumi Essere e soggetto. Rosmini e la fondazione dell’antropologia ontologica (1999) e L’istanza metempirica del filosofare. Metafisica e religione nel pensiero degli hegeliani d’Italia (2005), ha inteso valorizzare la tradizione speculativa italiana in direzione di una proposta filosofica orientata in prospettiva classico-cristiana.
2 commenti presenti
Una delle poche menti eccelse di questo terzo millennio, De Lucia. Recensito anche dal Corriere, Repubblica. Non le manda a dire…è abruzzese verace!! Da leggere, sicuramente.
Scritto da Paolo Martocchia il 16 Mar 2012
Segnalerò il libro al nostro gruppo di lettura di cui al blog http://www.trentoblog.it/mirnamoretti
Scritto da Riccardo il 24 Mar 2012