Sballati da rave party e appassionati di vino? Per Repubblica pari sono
21 Luglio 2008di Tommaso Farina
Come alcuni di quelli che leggono questo blog sanno, il mio mestiere principale è quello di giornalista enogastronomico (sì, quello che nell’immaginario collettivo sa solo bere e mangiare…). Secondo voi, un giornalista gastronomico un poco informato che reazione potrebbe avere alla lettura del megaservizio apparso oggi su Repubblica sulle pagine 23, 24 e 25, oltretutto richiamato in prima?
Friuli – Alcol, la strage silenziosa: così s’intitola il sostanzioso reportage firmato da Giampaolo Visetti direttamente da Gorizia. Nel sommario: “Una dipendenza letale che uccide molto più della droga”.
Naturalmente, mi ci sono buttato subito, sperando in qualcosa di realmente illuminante. Le braccia hanno iniziato a penzolarmi ben presto. Anziché analizzare la situazione col piglio interessante che trapelava all’inizio, ben presto il giornalista inizia a confondere le acque.
A un certo punto, Visetti mette nello stesso calderone rave party e cantine aperte, feste della birra e pub dove “paghi uno e bevi tre”. Un appassionato un po’ avvertito, uno che legga non dico pubblicazioni scientifiche ma soltanto banali quotidiani, potrebbe subito avvertire la forzatura anche senza il mio aiuto. Cioè, è lapalissiano il fatto che le cantine aperte e le loro degustazioni siano una cosa, mentre un rave party e le sue bottiglie allo stato brado siano ben altro. Gira forse ecstasy a cantine aperte? Le serate dell’Associazione Italiana Sommeliers sono forse apoteosi dell’ebbrezza molesta? Alle feste venete si offre Prosecco all’anfetamina?
“Al ristorante il cameriere ti riceve solo con lo spumante in mano”, si legge. A parte che non è affatto vero, ma il bicchierino di aperitivo offerto (o, più spesso, ricaricato furbescamente nel conto) è proprio l’epitome del coma etilico e della dissoluzione epatica? Chi si beve mezzo bicchiere di vino a pasto è davvero il degno compagno dell’agricoltore citato nel pezzo, che si vanta di ingollarne cinque litri al giorno? Forse il lettore più smaliziato (ma di malizia non ce ne vuole granché) potrebbe capire che non si tratta proprio della stessa cosa.
Il pur buon Visetti poi inizia a muoversi sul ciglio del baratro. Lamenta che “Le aziende, a differenza della maggioranza dei Paesi europei, possono fare pubblicità”, il che fa un po’ sorridere, visto che nella medesima pagina, a sinistra di queste righe, appare un riquadro pubblicitario a tre colonne della Manzoni (la concessionaria del gruppo) con gli elogi a un (discreto) produttore di Prosecco di Valdobbiadene…
Continua poi il crescendo rossiniano. Al Visetti non va giù che sulle bottiglie non si scriva che l’eccesso nuoce gravemente alla salute. E nemmeno che mostre e concerti siano “sponsorizzati dalle industrie degli spiriti”.
Più avanti, viene data la parola alla responsabile del Sert triestino Roberta Balestra. La quale si lagna che “Si insegna a bere bene, invece che a bere meno”. Il fatto è che chi “beve bene” già “beve meno”, de facto: le due cose non sono in contraddizione, anzi sono strettamente interdipendenti.
Si chiede poi Visetti: “Se l’Italia non fosse uno dei principali produttori di vini pregiati e distillati di qualità, si userebbe il termine droga anche per l’alcol?”. La disarmante risposta è affidata a un esperto, Salvatore Ticali: “La differenza in effetti non c’è”.
Già. Poveri sommelier, in realtà non sapete che siete poco più che spacciatori? E fortuna che io sono amico di San Patrignano: almeno avrò la possibilità di recuperarmi, visto che ogni tanto assaggio del vino e sto evidentemente per finire sulla stessa strada degli aficionados della polvere bianca. I rasta no, loro fuori a calarsi con orgoglio tutta l’erba che vogliono (Cassazione dixit), guai a chi li tocca. E’ l’alcol il vero mostro, le bottiglie di Sassicaia vanno per forza abbellite con le scritte che i fumatori di sigaretta hanno imparato a conoscere. Come dite? Che mezzo bicchiere di vino al giorno può stimolare benefiche funzioni antiossidanti? Christiaan Barnard, decano dei cardiochirurghi, ha detto che “Il vino rosso fa parte dello stile di vita e viene bevuto regolarmente”, inserendo questa convinzione nel suo decalogo ideale per evitare gli infarti? Poca cosa. Certo, è ovvio, il beneficio di un bicchiere di vino consiste nel non superare una quantità critica (quantità i cui limiti sono comunque abbastanza capienti da consentire una bevuta molto apprezzabile: non è necessario sgargarozzare a garganella un intero fiasco).
L’articolo, in sintesi (bella battuta…) tende a far d’ogni erba un fascio. Il giornalista avrebbe dovuto insistere di più sull’alcolismo vero, quello letale, delle vodke discotecare corrette con stupefacenti, dei cocktail o long drink bevuti a manetta dai forzati dell’happy hour, dei litri di birra o dei cartoni di pessimo vino tracannati da chi, in ossequio a una tradizione che all’Italia non appartiene per nulla (è prettamente anglosassone e nordeuropea), non beve per bere ma per ubriacarsi. Mezzo bicchiere non ubriaca nessuno, nemmeno a digiuno, e difficilmente scandalizza l’etilometro legale. Invece, si è preferito insistere ambiguamente sul sottile pericolo che per stessi e per gli altri rappresentano i bevitori ragionevoli. Cioè: nell’articolo non si dice, ma certe frasi a mezza bocca, certi pareri dei cattedratici e degli esperti coinvolti sembrano proprio suggerirlo.
Francamente, speravo in qualcosa di meglio. Volevo leggere un articolo non solo interessante (come bene o male è), ma anche più centrato sul suo bersaglio. Lo scivolone di Velenitaly evidentemente non ha rappresentato un monito sufficiente.
3 commenti presenti
inconcepibile…
Scritto da nicola il 21 Lug 2008
Ho letto questo incredibile articolo stamane e sono arrivato alle tue medesime conclusioni. Questo è un classico dell’Italia dei nostri tempi che cerca sempre capri espiatori per una società che “si beve tutto”. Come sempre con la sua ambiguità la Repubblica gli va dietro confondendo ancor più le idee della gente ingenua e come dici tu “fa di tutta l’erba un fascio”. Peccato per noi produttori di vino che ci battiamo da sempre per il ” poco ma buono” ed aggiungo sano, possibilmente vini creati da braccia appassionate e scottate dal sole dei campi.
Scritto da Anselmo G.G. il 21 Lug 2008
Purtroppo per voi ha ragione l’articolista:
Dura lex sed lex.
Non si possono appoggiare solo i principi che fanno comodo.
Scritto da Jack Satan il 7 Gen 2009