I pirati, il riscatto ed i misteri della “Buccaneer” – “Non è stato pagato un soldo” dichiarò il ministro degli Esteri Franco Frattini, invece sembra che furono quattro i milioni di dollari incassati dai pirati. Uno in più della richiesta, melius abundare quam deficere
18 Gennaio 2010di Sergio Fornasini per dituttounblog.com
Ci hanno preso per il culo. Un’altra volta, tanto per cambiare. Repubblica.it ha pubblicato ieri un articolo dal quale emerge che non solo fu pagato un riscatto ai pirati somali per il rilascio del rimorchiatore “Buccaneer” ma anche che il corrispettivo fu inspiegabilmente superiore alle richieste: invece dei tre milioni di dollari richiesti ne furono corrisposti quattro. Regalo di Natale? No, forse di ferragosto.
La società armatrice Micoperi smentisce fermamente, questa tesi però contrasta con le risultanze dell’inchiesta condotta dal procuratore aggiunto Pietro Saviotti e dai carabinieri del Ros. Le intercettazioni delle utenze satellitari di cui parla l’articolo di Repubblica stanno lì a dimostrarlo, mentre a suo tempo il Ministro degli Esteri Franco Frattini ha dichiarato: «Non è stato pagato un soldo. La forza della politica, l’impegno del primo ministro somalo e un eccezionale lavoro di intelligence hanno semplicemente convinto i sequestratori che non esisteva alternativa che liberare nave e ostaggi». Il lavoro di indagine della Procura di Roma aggiunge particolari inediti o poco approfonditi, ma anche questo blog nel suo piccolo cerca di dare una mano a chiarire la vicenda.
La storia non è risultata limpida sin dal principio, c’è chi si è accodato alla tesi ufficiale e chi si è posto dei quesiti.
“Noi abbiamo visto i pirati scendere dalla nave con queste borse piene, ma dentro non so ancora cosa ci fosse. Lo posso solo immaginare”. Tommaso Cavuto ufficiale di macchina del “Buccaneer” l’aveva detto un paio di settimane fa ad Ortona davanti ad una platea di oltre cento persone, sindaco compreso, accorse ad assistere alla presentazione del suo libro-diario “Buccaneer nella mani dei pirati” e del documentario del giornalista Rai Gabriele Mastellarini, dal titolo “I misteri del Buccaneer“.
In quelle borse c’erano 4 milioni di dollari che i pirati somali, capitanati da Omar Bacalio e Alida Galiba, hanno incassato per rilasciare la nave e i 16 componenti l’equipaggio (10 italiani) dopo 4 mesi di prigionia iniziata l’11 aprile. Nello stesso documentario di Mastellarini veniva proposta una intercettazione telefonica (ritrasmessa martedì scorso dal Tg2 delle 18.30) tra il comandante del “Buccaneer” Mario Iarlori e il giornalista Massimo Alberizzi nella quale si parlava “dei primi 500.000 dollari” consegnati ai pirati “due o tre settimane prima del rilascio” “per non dare notizie su quello che stava accadendo”. E alle domande del giornalista, Iarlori risponde: “Non posso trasgredire a ordini che mi hanno dato. Ti faremo sapere quello che è successo. Noi abbiamo fatto tutto di nascosto”. Cosa è stato fatto di nascosto? Iarlori non lo dice. “Il comandante abruzzese non vuole più parlare della vicenda” ha spiegato Tommaso Cavuto, suo concittadino.
Iarlori, Cavuto e un altro collega sono tre italiani dei 10 componenti l’equipaggio attualmente “in servizio” per la Micoperi. Gli altri sette non sono al lavoro: alcuni risultano ufficialmente in malattia altri hanno lasciato la Micoperi, società armatrice che secondo l’inchiesta della procura di Roma avrebbe condotto le trattative con i pirati attraverso un canale “privato”.
Tra i dipendenti a casa c’è anche il nostromo Filippo Speziali di Martinsicuro (Teramo). Era stato lui a svelare al Gr1 (servizio del solito Mastellarini) la presenza di un mediatore a bordo, “un perito agrario che è stato per oltre 15 anni nella zona di Trento e che parlava correttamente l’italiano”. Lo chiamavano Sadiq, che significa in arabo significa amico. “Lui scendeva e saliva dalla nave, a volte si chiudeva in cabina e parlava all’esterno con un telefonino satellitare”, aveva detto il primo ufficiale Mario Albano, come riportato nel documentario disponibile su youtube.
Un mediatore, un riscatto e una nave militare italiana, la San Giorgio, che ha seguito tutte le fasi del sequestro fin dal primo momento, ma senza intervenire. Perché? Paura per la sorte dei marinai? O c’è dell’altro?
Da verificare anche la spartizione del bottino. Un milione l’avrebbe incassato il mediatore, un altro milione potrebbe essere finito ad un deputato somalo, un terzo suddiviso in due trance ai pirati e resta da capire a chi sia andato il quarto milione di dollari.
Martedì scorso il rimorchiatore è rientrato ad Ortona. Ad attenderlo c’erano solo l’ufficiale di macchina Cavuto e il figlio dell’armatore, Fabio Bartolotti. “Ho chiesto loro perché il Buccaneer non si fosse accodato ad altre navi per attraversare il pericolosissimo Golfo di Aden seguendo una prassi di sicurezza ormai consolidata – dice Gabriele Mastellarini che per la Rai ha documentato il rientro della nave – ed entrambi alla presenza del vicecomandante della Capitaneria di Porto Angelo Capuzzimato hanno confermato che il Buccaneer era troppo lento e le altre navi del convoglio con il quale era uscito lo hanno, in sostanza, staccato e lasciato solo in balìa dei pirati.
“Con il comandante Capuzzimato ci siam guardati negli occhi. E ci è sembrato tutto molto strano”, conclude il giornalista. Intanto Cavuto che era prossimo alla pensione, è rimasto in servizio per la Micoperi occupandosi dei cantieri navali ad Ortona. Lavora ancora per la Micoperi anche il comandante Mario Iarlori che martedì non si è neanche presentato in banchina a rivedere la nave, preferendo rimanere nella sua casa a pochi passi dal porto. La Micoperi l’aveva messo al timone del rimorchiatore nonostante lui non conoscesse quella rotta, da Singapore a Suez e poi verso l’Italia destinazione Ravenna oppure Ortona.
Inizialmente al comando c’era Mario Albano il quale ha dato forfait all’ultimo momento, chiedendo di essere “declassato” a primo ufficiale e lasciando il timone a Iarlori che ha gestito tutto il sequestro.
Qualche stranezza anche sul repentino cambio del nome. Inizialmente il rimorchiatore era “Smith Lloyd 72” ma a Singapore prima di partire per Suez ha cambiato nome in “Buccaneer” e bandiera, assumendo quella italiana. Coincidenze?
La Procura di Roma ha anche acquisito le foto che documentano le facce dei pirati, scattate da un telefonino cellulare da un marinaio dell’equipaggio. L’indagine sul riscatto è stata condotta dal procuratore aggiunto di Roma Pietro Saviotti che si è avvalso dei militari del Ros agli ordini del comandante colonnello Mario Parente e del suo vice Massimo Macilenti. Fin dall’inizio hanno scartato l’ipotesi, inizialmente fatta circolare dalle autorità somale, di un sequestro-punitivo derivante dal carico trasportato dal “Buccaneer”. Infatti le due bettoline trainate dal rimorchiatore si erano rivelate completamente vuote, come avevano riferito sia il nostromo Filippo Speziali che il primo ufficiale Mario Albano, entrambi attualmente “fuori servizio”.
“E poi c’è anche un colloquio che io feci a suo tempo che io non posso rispondere – ha detto il primo Ufficiale Mario Albano in un’intervista che chiude il documentario “I Misteri del Buccaneer” – un colloquio con un funzionario dei Carabinieri. A terra. Che cosa riferi?
“Questa è una cosa che quando finisce, allora, escono fuori tutte le altre cose…“.
Ora si è capito quali fossero le “altre cose“.
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