CULTUR@. Il cacciatore di rarità
7 Agosto 2008di Nicoletta Salata
Blair Hedges, biologo ricercatore del Pennsylvania State University, è lo scopritore del più piccolo serpente al mondo il cui ritrovamento, risalente al 2006 e avvenuto in una foresta orientale dell’isola caraibica di Barbados, viene reso noto in questi giorni dopo che la notizia è stata pubblicata dal giornale Zootaxa.
Appartenente alla specie Leptotyphlops carlae questo serpentello non raggiunge i 10 cm. di lunghezza, è di colore grigio-marrone scuro e ha due striscie gialle sul dorso, non è velenoso, mangia termiti e larve ed è stato trovato (in duplice copia, due esemplari di femmina) sotto un sasso.
Per quanto riguarda la grossezza viene universalmente paragonato ad uno “spaghetto” e questo onora e rende più partecipi della scoperta noi italiani che insieme ai cinesi ci contendiamo l’invenzione del suddetto formato pasta, che nelle sue varianti prevede infatti anche il “vermicelli”.
(La leggenda vuole infatti che sia stato Marco Polo ad introdurlo dal suo rientro dalla Cina nel 1295, ma una testimonianza di un secolo prima da parte del geografo e viaggiatore arabo Idrisi, stabilitosi nel 1145 in Sicilia, che scrive “vermicelli prodotti nel villaggio di Travia “induce a ritenere che già a Palermo lo spaghetto si gustasse!).
Tornando allo scienziato acchiappa guinness, ricordiamo che, essendo di fatto una sua specialità il ritrovamento di minuscoli esemplari, nel 1996 scoprì a Cuba la più piccola rana vivente, tale “Eleutherodactylus iberia” di 9,8 mm. e nel 2001 la “Sphaerodactylus ariasae” (in onore di Yvonne Arias, pioniera della conservazione nella Repubblica Dominicana), una mini lucertola scovata appunto nell’isola caraibica di Santo Domingo, di 16 mm, bestioline che come si può notare vengono d’abitudine fotografate sopra minuscole monetine per darci la percezione della loro dimensione.
Egli è scopritore in totale di 72 specie tra anfibi e rettili, 5 farfalle e inventore del “print clock”.
“E’ un orologio speciale: senza quadrante, lancette o ingranaggi, ma con un “cuore” composto da macchine fotografiche ad alta risoluzione e formule matematiche. Il suo inventore, Blair Hedges, docente di biologia e grande esperto di libri, l’ ha creato per misurare con precisione i danni lasciati dal tempo sulle pagine dei testi antichi, e per datare i volumi che non contengono l’ indicazione dell’ anno in cui sono stati stampati: un autentico rompicapo, spesso, per gli studiosi e i collezionisti. In effetti sono numerosi i volumi, soprattutto del Cinquecento e del Seicento, che presentano questo «mistero», e alcuni portano anche firme piuttosto illustri, come quella di Shakespeare. Il metodo messo a punto dal biologo americano utilizza fotocamere digitali e scanner, per analizzare nei più fini dettagli le imperfezioni presenti sui caratteri e sulle illustrazioni dei libri antichi.
Questi testi venivano stampati usando matrici di legno o lastre di rame, molto costose all’ epoca, che i tipografi cercavano poi di riutilizzare il più possibile per le edizioni successive, anche a distanza di decenni. Con il passare del tempo, però, il legno tendeva a riempirsi di fessure e fori, perché subiva le aggressioni dei tarli e di altri parassiti, mentre le lastre di rame andavano incontro a un’ inevitabile corrosione, che i proprietari delle tipografie tentavano di cancellare, lisciandole e limandole.
Ebbene, Hedges ha dimostrato che questi danni sono in buona parte prevedibili e misurabili, e ha elaborato una serie di equazioni per collegarli al trascorrere del tempo. E’ però necessario avere un punto di partenza, cioè almeno una copia con una data certa: solo in questo caso, esaminando le imperfezioni presenti nella stampa e applicando le formule di Hedges, è possibile ricostruire gli anni in cui anche le altre edizioni sono state pubblicate, senza notizie precise. Hedges ha elaborato le sue equazioni esaminando 2.674 stampe prodotte nel Rinascimento. Lo studioso americano ha sperimentato il suo «orologio» su copie diverse di tre atlanti pubblicati fra il 1528 e il 1621: l’ «Isolario» di Benedetto Bordone, «L’ isole più famose del mondo», di Tommaso Porcacchi, e «Geographiae Universae», di Giovanni Antonio Magini. Ed è riuscito a datare una versione dell’ Isolario su cui gli esperti discutevano da due secoli. I dubbi, in verità, non mancano. «La datazione di un oggetto antico, libro o altro, deve poggiare su molte e diverse analisi – dice Angela Nuovo, professore associato di biblioteconomia all’ Università di Udine. – Già in altre occasioni si è cercato, con metodi tratti dall’ osservazione matematica, fisica o chimica, di fare a meno della storia, dell’ archeologia, o della bibliologia… Ma non credo che si possa nutrire un’ assoluta fiducia in questi nuovi metodi»”.(Corriere della Sera -12 dicembre 2006)
Per saperne di più e vedere la foto dell’eclettico biologo (non su monetina!) vai su: