CULTUR@. Laser o bomboletta: lo sprint dello spray
28 Luglio 2008di Nicoletta Salata
Che si tratti di un’evoluzione, di una variante, o semplicemente di una tra le tante sfaccettature del prismatico fenomeno “graffitismo”, che spesso raffigura infatti immagini tridimensionali e che senz’altro ha la capacità di scomporre la realtà urbana (nelle intenzioni si colora anche di messaggi sociali) la quale è spesso fatiscente e decadente (e non solo per quello che riguarda muri o cose in stato di degrado), il “graffiti laser” di cui in questi giorni si è parlato in un tg convince poco nella sua ambizione di sostituirsi al “murales”.
Molto suggestiva e d’effetto da un lato, perfino creativa e divertente, non credo che questa tecnica possa ritenersi dall’altro una soluzione all’effetto “vandalismo” dei graffiti, come qualcuno pare abbia ipotizzato o forse solo sperato.
Perché dietro al fenomeno del graffiti writing o più in generale della street art, risiedono tutta una serie di componenti e motivazioni; aspirazioni e capacità artistiche bramose di essere espresse, desiderio di ribellione e trasgressione.
Associate spesso alla cultura hip-hop in cui se la strada è uno spazio di vita e la notte il clima ispiratore, il muro (qui assurto a simbolo liberatorio) rappresenta il foglio su cui imprimere il proprio estro o sfogo. Laddove la superficie non sia altre volte un treno che ha anche il vantaggio di muoversi e di portare quindi il disegno oltre, trasportandone il messaggio.
Pertanto la tecnica messa a punto dagli americani E.Roth e J.Powderly nel loro Graffiti Research Lab. che funziona essenzialmente come una lavagna in cui al posto del gesso si usa il laser (molto potente, consente infatti di proiettare il raggio a più di cento metri) per elaborare scritte o immagini che poi vengono visualizzate su edifici e palazzi, non mi sembra possa sostenere e conformarsi allo spirito del genuino “graffitaro”.
Il graffiti laser, decisamente tecnologico e forse un po’ troppo avveniristico, toglierebbe a mio avviso all’artista anche la possibilità di manipolare i colori, mescolarli, “sporcarsi”, ed è forse un limite insormontabile per chi in questa sua performance cerca sicuramente anche il gusto della pittura, il godimento dell’ispirazione che si va esprimendo, e non ultimo anche il piacere della trasgressione. Un’immagine che sia permanente, almeno fino a quando non verrà cancellata, che non si dissolva quando si spegne il proiettore.
Amando l’arte trovo davvero interessanti e apprezzabilissimi alcuni “dipinti” murali sia che si tratti di tag (la firma: per i writers scrivere il proprio nome è un istinto innato, una missione, una sorta di volontà di marcare il territorio), di crew (disegni ad opera di un gruppo) di bombing o throw up (scritte molto lunghe) o più complesse forme di street art, disegni multicolori e più articolati in cui appaiono anche puppet (personaggi).
Del resto lo stesso Sgarbi, la primavera scorsa, in qualità di assessore alla cultura di Milano ha promosso una mostra intitolata “Street Art Sweet Art” allestita al Pac, che ha riscosso un notevole successo.
Un mese fa la Mondadori Arte ha pubblicato “Graffiti Writing” un volume di A.Mininno in cui attraverso testi e immagini viene presentato al grande pubblico il fenomeno culturale dei graffiti..
Detto questo, che mi sembra pienamente a favore del valore artistico della categoria, vorrei invece fare il punto sul rovescio della medaglia, che in realtà tanto rovescio non è, perché gli effetti e le conseguenze sono ben visibili a noi tutti.
Gran parte di queste pitture extra-tardo “rupestri”, anacronistiche e fuori luogo (in tutti i sensi!) utilizzano spesso spazi privati, deturpano superfici, abbruttiscono invece che abbellire e finiscono per essere catalogate, a ragione, come “atti vandalici”.
Da cui, nel recente pacchetto sicurezza, l’aggiornamento e la variazione dell’Art.4 relativamente al reato di danneggiamento e dell’Art.5, concernente il deturpamento e l’imbrattamento di cose altrui.
È stato calcolato che sono stati spesi in un anno 75 milioni di euro per interventi di ripristino.
Le città più colpite dal fenomeno sono Roma, Napoli, Milano, Pesaro, Bologna, Bari, Firenze, Torino, Salerno, Ascoli Piceno.
Che dire?
A Roma, fino al 31 luglio all’Auditorium Parco della Musica-Scala Mercalli l’iniziativa “Il terremoto creativo della Street art italiana” dà spazio a questa espressione artistica.
A Torino da anni MurArte ha dato avvio ad un progetto che dà in concessione ai tesserati superfici murarie e capannoni su cui sbizzarrirsi.
Milano, che sicuramente è la capofila della repressione (del resto si stima che ci siano più di 40.000 palazzi graffittati e un contingente di 2.000 writers attivi) ha comunque organizzato un’ampissima mostra.
Tutto questo denota comprensione e volontà di dialogo.
Pertanto, come in molte altre controverse questioni, va cercato un accordo ed una soluzione.
Che consenta alla fantasia e alla creatività della categoria in oggetto di esprimersi, rispettando però il bene comune sia che si tratti di palazzi magnifici che di muri decrepiti.
Il vantaggio per tutti sarebbe anche quello di visitare queste “mostre” en plein air senza pagare l’ingresso!
Un commento presente
che gran cazzata
Scritto da daniel il 5 Nov 2008